Dopo la resa, riportare subito a casa l’oro italiano di Fort Knox - Le Cronache Attualità
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Dopo la resa, riportare subito a casa l’oro italiano di Fort Knox

Dopo la resa, riportare subito a  casa l’oro italiano di Fort Knox

Aldo Primicerio

E sì. La Meloni a Washington ha preso solo complimenti. Per i dazi e tutto il resto, niente di niente. Ma lei lo sapeva bene. E’ andata negli States non certo per negoziare accordi che lei non aveva la forza di fare, ma per accrescere la sua immagine di interlocutrice credibile con gli Usa. E poi di vendersi quella di mediatrice dell’UE, che si è attribuita da sola, senza che nessuno gliela delegasse.

E quindi – come ha ben scritto il saggista economico Grazzini – la cosa più giusta e vera che la Meloni potesse fare (ma che non si è sognata di fare) era quella di ritirare l’oro italiano a Fort Knox. Sì, perché va ricordato a noi tutti che, sin dal 1947, il 43% delle riserve auree italiane è custodito lì, nel leggendario bunker dell’esercito americano nel Kentucky. Un’area militare circondata da recinzioni in acciaio e numerosi sistemi di allarme, caratterizzata da un tetto a prova di bomba e sorvegliata dagli elicotteri d’attacco Apache.

E quindi, invece che scambiarsi complimenti con il piazzista a stelle e strisce, invece che annunciare la presentazione di zero dazi tra America ed Europa, e tornarsene invece con una mano davanti e una dietro come si dice daslle nostre parti, la nostra presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a chiedere in restituzione quelle 730 tonnellate d’oro custodite nel bunker statunitense. Con i tempi che corrono, l’oro assurge sempre più al migliore bene rifugio. Anche se non sempre è così.

 

Le riserve auree italiane, in totale 2.452 tonnellate. Terza potenza aurea mondiale. La storia

I numeri sono impressionanti. Il 43% delle 2.452 tn. d’oro italiano è stoccata a Fort Knox. Il resto, secondo quanto riportato dalla Banca d’Italia, è diviso tra Regno Unito (5,76%) e Svizzera (6,09%). In Italia rimane invece il restante 44,86%. La frammentazione del patrimonio italiano è un’eredità del secondo dopoguerra, quando l’Italia, uscita sconfitta e in ginocchio, negoziava la propria sopravvivenza economica e politica sotto l’ombrello statunitense. Il prezzo dell’oro, in questo periodo di caos e di grande incertezza, sta correndo forte.  Spinto dai timori di recessione economica per la raffica di dazi che Trump ha annunciato il 2 aprile, è arrivato a sfondare il tetto dei 3200 dollari l’oncia. Nel caso in cui le guerre commerciali con l’America di Trump si inasprissero e diventassero anche conflitti finanziari e geopolitici, l’oro italiano depositato in America sarebbe ovviamente sempre più a rischio di non valere quel che vale oggi.

Un po’ di storia è utile, per capire chi siamo: la terza potenza mondiale per oro posseduto!  Nel 1893 – anno di nascita della Banca d’Italia dalla fusione di Banca del Regno d’Italia,  Banca Nazio9nale Toscana e Banca Toscana di Credito – la dotazione aurea iniziale era di 78 tonnellate di oro fino. Nel 1926, con l’attribuzione del monopolio esclusivo delle emissioni alla Banca d’Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia cedettero le proprie riserve auree, pari a circa 70 tonnellate provenienti quasi per intero dal Banco di Napoli. Nel 1933 la riserva aurea della Banca d’Italia superava le 561 tonnellate. La seconda guerra mondiale fu talmente onerosa che le risorse nel 1943 erano scese ad appena 121 tonnellate, ulteriormente usurpate dai tedeschi dopo l’armistizio. Nell’ottobre del 1944 la riserva aurea scese ad un minimo di circa 22 tonnellate. Nel 1946 alla Banca d’Italia furono assegnate 32 tn. delle 69 richieste, con ulteriori 13 tn. d’oro nel 1958. Nel dopoguerra, l’Italia divenne rapidamente un paese esportatore, con notevoli afflussi di valuta estera, soprattutto in dollari. Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, l’oro della Banca d’Italia aumentò progressivamente, fino a raggiungere alla fine del 1958 le 244 tonnellate. Dal 1951 e fino al 1960, l’Ufficio Italiano Cambi acquistò ingenti quantità di oro fino ad accumularne poco meno di 2.000 tonnellate. Le quantità nel 1973 raggiunsero le 2.565 tonnellate. Tra il 1979 ed il 1997 vi furono trasferimenti al Fondo europeo di Cooperazione Monetaria e, come detto, agli Usa di Fort Knox.

 

Le riserve auree italiane, terzi al mondo dopo Usa e Germania. E, dietro, Francia, Russia e Cina

Secondo Bloomberg Billionaire Index, nel confronto con gli uomini più ricchi del pianeta, il valore delle riserve auree italiane, pari a 246 miliardi di dollari ai prezzi del 1 aprile 2025, si trova al secondo posto dietro Elon Musk (316 miliardi) e Jeff Bezos (212 miliardi) e Mark Zuckerberg (204 miliardi). E per fare un altro eloquente confronto, se fosse legalmente possibile farlo, vendere oggi le riserve auree della Banca d’Italia consentirebbe di finanziare l’equivalente di quasi 17 Ponti sullo Stretto di Messina. Alcuni Paesi, poi, nonostante abbiano un Pil notevolmente superiore a quello dell’Italia, posseggono – come si evince dalla foto pubblicata – riserve auree nettamente più scarse. L’esempio più evidente è quello del Giappone, che vanta un Pil più che doppio rispetto a quello italiano, pur detenendo riserve auree pari a poco più di un terzo di quelle della Banca d’Italia

Con la sindrome daziaria di Trump ed il caos finanziario sul pianeta, l’oro degli italiani negli Usa sempre più a rischio
Il dazinaro a stelle e strisce di recente ha dichiarato dubbi sulla presenza effettiva o meno dell’oro a Fort Knox. Al raduno internazionale dei conservatori, presente anche la Meloni, Trump e Musk ebbero a dire “Apriremo le porte ed ispezioneremo Fort Knox”. E quindi è legittimo il sospetto che l’oro non sia più lì? Lo stesso tycoon se ne uscì con una delle sue solite espressioni burlesche, come “Non vorrei aprire e trovare gli armadi vuoti. E se l’oro non ci sarà, saremo molto arrabbiati”. Lo stesso Elon proferì frasi del tipo “Chi può confermare che l’oro non è stato rubato da Fort Knox. Forse è lì, forse no”. Era il 2020, governo Conte II, quando la Meloni postava su X, il social preferito, sulla necessità di rimpatriare l’oro italiano.  Ora invece – dopo i tanti inchini, i salamelecchi, ed i baci…sul culo di Donald come raffigurato sulla vignetta di Vauro – la Meloni non sembra più preoccupata della questione. Anzi sembra aver dimenticato il furto all’Italia da parte del dazomane a stelle e strisce. E  Fratelli d’Italia sul tema ha commentato: “Non c’è necessità di rimpatriarlo ora“.

E dunque, dopo oltre settant’anni resta solo il simbolo di un’epoca, di un’alleanza ma anche di una sudditanza, quest’oro italiano.

Anzi, l’oro degli italiani. Certo. Dove è scritto che quell’oro è dello Stato? Non è piuttosto una proprietà degli italiani, del popolo? La questione è aperta. E quindi prima di puntare le sue mire e di metterci su le mani, Meloni e Salvini chiedano prima agli italiani.