Dissesto idrogeologico, parla il geologo Domenico Negro - Le Cronache
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Dissesto idrogeologico, parla il geologo Domenico Negro

Dissesto idrogeologico, parla il geologo Domenico Negro

di Clemente Ultimo

Allagamenti, smottamenti, ruscelli che d’improvviso si trasformano in fiumi impetuosi travolgendo strade e case, piazze e sottopassi invasi dall’acqua: gli effetti delle prime perturbazioni di fine estate – inizio autunno hanno drammaticamente riportato l’attenzione sul tema del dissesto idrogeologico del territorio e delle misure da adottare per ridurre i rischi per la popolazione. Argomento complesso, forse su cui si dibatte anche troppo a fronte di interventi troppo spesso adottati solo come risposta all’emergenza. Ma quali sono le difficoltà nell’attuazione di una efficace politica di prevenzione e cosa si può effettivamente fare per la riduzione del rischio? «Prima di entrare nel vivo della questione – sottolinea Domenico Negro, geologo con una solida esperienza professionale nel campo – è bene evidenziare un aspetto forse poco noto, ma non per questo da sottovalutare: negli scorsi anni si è proceduto ad accorpare le diverse Autorità di Bacino operanti sul territorio, nella sola provincia di Salerno ben cinque enti diversi, nell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale. Per uno dei classici paradossi italiani questo ente, che ha competenza in pratica sull’intero Mezzogiorno, si è ritrovato ad operare su un territorio vastissimo, ma con meno personale disponibile rispetto a quello messo in campo dalla Autorità di Bacino assorbite: i dipendenti degli enti regionali, ad esempio, in molti casi sono rientrati nelle disponibilità delle rispettive amministrazioni, della Regione Campania nel nostro caso. Questo ha di fatto ridotto la presenza sul territorio della nuova Autorità. Quest’ultima, poi, ha “ereditato” una massa di documentazione, ad iniziare dalla cartografia tecnica, redatta secondo standard diversi: elemento che rende difficile far dialogare tra loro aree oggi sottoposte ad un’unica gestione. I piani, infine, fotografano una realtà ormai vecchia, risalendo mediamente ad una decina di anni fa: troppo per un territorio a forte presenza umana come il nostro, dove l’abusivismo edilizio è purtroppo prassi diffusa. Sembra che su questo punto l’Autorità voglia intervenire, speriamo in tempi brevi». Accanto a questo ostacolo “organizzativo”, qual è la principale difficoltà con cui fare i conti? «In linea di massima sappiamo quali sono le aree a maggior rischio, come si manifestano in linea generale i fenomeni, ma non abbiamo sciolto il nodo principale: come si interviene in un territorio già fortemente urbanizzato come il nostro? Quali interventi possono realisticamente essere effettuati? Per rispondere a queste domande è necessario intervenire su piani differenti, tecnico e politico per iniziare. Come geologo credo che una prima risposta debba essere il potenziamento della rete di controllo del territorio; oggi grazie alle nuove tecnologie la sorveglianza a distanza dei punti critici è una soluzione a portata di mano». Cosa manca? «Spesso la volontà. Ad esempio la Regione Campania, con l’assessore Cosenza, varò un progetto di presidio territoriale: 50 coppie di tecnici, a titolo volontario, fornivano assistenza nei comuni maggiormente esposti al rischio idrogeologico, verificando le criticità fuori dai momenti di emergenza. Ebbene, il progetto è stato lasciato morire. Ci sono poi situazioni per cui l’azione di controllo non basta, occorrerebbe una pura e semplice delocalizzazione. L’esempio più evidente è quello delle case costruite nell’alveo dei fiumi. Qui è la politica che deve avere il coraggio di decidere, ma per farlo deve conoscere il territorio». Quali interventi possono essere messi in campo? «In realtà le soluzione da adottare sono sempre le stesse. Quel che andrebbe fatto è adeguarle ai cambiamenti registrati negli ultimi anni. Un esempio su tutti: il diverso regime delle precipitazioni, più concentrate e molto più violente, ha reso completamente inadeguata la rete di raccolta delle acque bianche, ormai chiaramente sottodimensionata. C’è poi un altro aspetto, troppo spesso dimenticato: l’educazione alla protezione civile. Per capirci: la città di Salerno ha un piano di protezione civile, ma chi lo conosce, ad eccezione degli addetti ai lavori? Ovviamente non nei suoi aspetti tecnici, bensì in quelli pratici: quali sono le aree di ammassamento, quali le vie di fuga in caso di eventi critici come terremoti ed alluvioni? Perché non esiste una cartellonistica dedicata? E si potrebbe continuare a lungo. Anche la scuola può fare di più, sebbene negli ultimi anni qualcosa abbia iniziato a muoversi, ad iniziare dalle esercitazioni in caso di terremoto. Ma è ancora troppo poco».