Dall’Argentina all’Italia per portare avanti la sua missione di pace - Le Cronache
Attualità

Dall’Argentina all’Italia per portare avanti la sua missione di pace

Dall’Argentina all’Italia per portare avanti la sua missione di pace

di Erika Noschese
La parrocchia di Santa Croce, San Bartolomeo e San Nicola è reduce da una settimana di missione parrocchiale. A raggiungere la comunità di Giovi l’Istituto del Verbo Incarnato – Seminario San Vitaliano, istituto Cattolico e allo stesso tempo un istituto clericale e religioso. Fondato il 25 marzo del 1984 nella diocesi di San Rafael, una piccola ed umile diocesi dell’Argentina, situata in una pittoresca regione del Sud della Provincia di Mendoza, molto vicina alle Ande è in Italia dal 2001, prima con sede unica a Roma e poi con sede a Montefiascone, Viterbo ma in Italia ci sono attualmente fondazioni a Prato, Torino, Ravenna, Fossanova, Palermo, Montalto di Castro, Genova.
A raccontare l’esperienza di questa missione umanitaria Padre Carlos Diego Pereira, nato in Argentina ma da diversi anni in Italia, dal 2009 in modo definitivo, tanto che a breve dovrebbe ottenere la cittadinanza italiana.
Padre, una missione con e tra i ragazzi nei quartieri periferici della città. Una sfida importante per affermare la presenza, nei luoghi dimenticati dalla politica, della chiesa…
«Per noi la missione è parte integrante della chiesa e della sua attività, seguiamo l’insegnamento di Gesù che ci ha detto di andare e predicare il vangelo. Esiste la missione tra la gente e da sempre esiste la missione popolare tra quei popoli dove c’è già l’evangelizzazione ma è necessario vivere secondo lo spirito cristiano, il fine principale della missione e questo avviene in una parrocchia, per volontà del sacerdote, per dare nuova vita, possiamo dire; aiutare le persone che non hanno ancora accesso ai sacramenti».
Qui sono presenti tanti giovani ma sempre più spesso non hanno luoghi di riferimento, sono lontani dalla chiesa, dalla religione pronti ad intraprendere strade sbagliate. In che modo secondo lei si può avvicinare il ragazzo alla chiesa e, più in generale, alla comunità?
«E’ una sfida molto difficile per tante circostanze. Noi siamo strumenti nella Grazia di Dio, dobbiamo essere coscienti di questo; ci sono iniziative che possiamo fare e le portiamo avanti; bisogna essere fedeli al messaggio di Cristo, al Vangelo. Nei giorni scorsi abbiamo visitato le abitazioni, mostrato vicinanza alle persone, abbiamo ascoltato i loro bisogni e li abbiamo invitati all’atto missionario con una serie di iniziative religiose che partono dalla processione fino al Rosario, il catechismo e così via, approfondendo temi attuali. Abbiamo ricordato in quei giorni l’importanza della missione, del nostro ruolo».
Ci sono state tante culture, tanti giovani provenienti da diverse nazionalità ed è avvenuto proprio mentre al porto di Salerno si registrava il trentunesimo sbarco di migranti…
«È vero che forse a Giovi non è giunta in maniera così importante la notizia ma abbiamo vissuto quelle ore della salvezza come se fossimo lì. Noi cristiani non dovremmo chiuderci alla possibilità dell’accoglienza, non possiamo rifiutare queste persone, al di là della posizione politica ma è quanto ci insegna la religione. Noi abbiamo tra i seminaristi e le suore persone provenienti da altre nazionalità, anzi le dirò: in questo gruppo c’è solo un italiano al momento; c’è una persona del Congo, due Slovacchi, una persona della Lituania, una brasiliana, due ucraine ed è proprio questo che rappresenta la chiesa: universali».
A proposito di Ucraina, l’appello di Papa Francesco è sempre lo stesso: fermare la guerra…
«Sì, assolutamente. Dobbiamo mettere da parte gli interessi egoistici e questo è l’unico modo per andare avanti nel progetto di pace, assolutamente necessario. Le seminariste ucraine sono qui da tempo, prima della guerra ma hanno le famiglie lì e vivono la sofferenza ogni giorno».
La chiesa come luogo di aggregazione, una sfida difficile ma possibile oggi…
«Si, una sfida possibile. Ci sono persone che si dedicano un po’ di più a questo tipo di apostolato ma è possibile raggiungere questo traguardo ovunque, serve calma ma il principio deve essere di apertura».
Cosa ha portato via con sé da Salerno e dalla comunità di Giovi?
«Un grande affetto, ci sono state persone presenti ed è a loro che va il mio ringraziamento. C’è stata una buona partecipazione, persone presenti per pregare, per la chiesa anche grazie al lavoro fatto da don Salvatore Aprile che a breve lascerà questa parrocchia per continuare la sua missione altrove. Tanti i cittadini che in questi giorni lo hanno ringraziato e mi associo a loro, ha fatto tanto in questi anni ma sono disposti ad accogliere sicuramente il nuovo sacerdote».