Il postino suona sempre due volte, ma questo non basta. Si parla nuovamente di manodopera a basso costo e questa volta nel centro del mirino c’è la società Poste Italiane. Poste Italiane Spa, infatti, ha vinto regolarmente le gare di Equitalia per la consegna di cartelle esattoriali ma, avendo un’organizzazione capillare su tutto il territorio nazionale con i propri postini, non supporta oneri aggiuntivi, poiché decide di utilizzare gli stessi dipendenti senza alcuna variazione né di salario né di contratto, ma aggiungendo semplicemente al loro carico di lavoro quotidiano anche le cartelle esattoriali da consegnare, andando quindi oltre le proprie responsabilità di legge. La società ha dunque preteso che tutti gli “addetti al recapito” fossero obbligati ad assumere la mansione di “messo notificatore” in termini di legge per mezzo di un “corso farsa” online che, oltre a non assicurare alcuna privacy, non assegna alcuna qualifica. Il dipendente dovrà dunque procurare ad Equitalia la documentazione personale riservata che, una volta esaminata e ritenuta valida, gli consentirà di ottenere la nomina ed il relativo tesserino. A questo punto il portalettere di turno lavorerà con indosso due tesserini, uno in quanto rappresentante di Poste Italiane ed uno in quanto rappresentante di Equitalia, svolgendo, quindi, un doppio lavoro, ma senza alcun compenso extra. Il risultato di tutto ciò è che ora, a Salerno, sono giacenti alle Poste circa 25.000 cartelle, mentre al Comune circa 30.000, non essendo state ritirate dai rispettivi utenti avvisati. Il metodo di consegna è sostanzialmente questo: il postino cerca di consegnare la cartella alla persona interessata ma, non avendo il diritto di chiedere un documento di riconoscimento, spesso s’imbatte in nomi fittizi. Se poi in casa non c’è nessuno, lascia l’avviso di cortesia che invita l’interessato a ritirarla entro dieci giorni. Nel caso in cui la persona interessata non risulti abitare all’indirizzo indicato, il postino chiede una visura al Comune. Dopo dieci giorni, il postino fa un secondo tentativo di consegna e, se nemmeno questa volta va a buon fine, lascia un avviso. A questo punto le cartelle vengono spedite al Comune e giacciono lì per un tempo indeterminato. «Molti lavoratori si ribellano» – spiega Paolina Perna del Cobas Pt – «e con l’assistenza di questa Organizzazione Sindacale aprono vertenze individuali a seguito di pesanti sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro per il loro rifiuto, sordo ad ogni nostra proposta di dialogo. La maggior parte dei giudici, in particolare Liguria e Piemonte, e sino alla Cassazione, danno ragione alle Poste, sullo “sciocco” ragionamento che il postino, come consegna le raccomandate e/o gli atti giudiziari, dovrebbe trattare allo stesso modo le cartelle di Equitalia. Nelle loro decisioni sorvolano su tutte le questioni di merito (per esempio diritto alla privacy), sollevate dai nostri legali. Solo una giudice di Alessandria, almeno per ora, accoglie integralmente la posizione motivazionale dei nostri legali». E prosegue: «Ad oggi, sono decine e decine, in tutta Italia, le sanzioni inflitte ed i conseguenti ricorsi, taluni ancora pendenti. Questo perché, mentre il lavoratore sanzionato invoca il collegio di conciliazione ed arbitrato (veloce e praticamente gratuito), Poste Italiane sceglie il lungo e costoso percorso giudiziario, sino alla Cassazione, con ovvie ripercussioni economiche solo sulla parte più debole». I sindacati possono poco di fronte a tutto ciò, ma l’intento è anche quello di scuotere l’opinione pubblica affinché si venga a conoscenza di quello che sta succedendo: «Secondo la Convenzione Europea, è vietato obbligare un individuo a svolgere un lavoro non voluto dietro minaccia. Abbiamo anche coinvolto la Società Equitalia Spa e l’Autority per la Privacy, ma alle nostre richieste d’informazioni e chiarimenti hanno fatto orecchie da mercante». Dalila Pergamo
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