Un cavillo interpretativo fa tremare i proprietari degli stabilimenti del litorale di Pontecagnano. Il procuratore aggiunto della Repubblica, Erminio Rinaldi, ha firmato ventitré avvisi di conclusione indagini con destinatari i proprietari degli stabilimenti balneari ubicati sulla fascia costiera del comune di Pontecagnano. L’indagine ha visto coinvolto anche un tecnico del Comune di Pontecagnano Faiano. Secondo quanto emerso dal quadro accusatorio i proprietari degli di stabilimenti balneari indagati avrebbero occupato illegalmente – sulla Litoranea di Pontecagnano – 47mila metri quadrati di spiaggia di proprietà demaniale: l’equivalente di sette campi di calcio. L’operazione è stata condotta dalla Capitaneria di porto di Salerno, coordinata dal comandante Maurizio Trogu, su disposizione del procuratore aggiunto Erminio Rinaldi. I reati contestati sono di costruzione abusiva, violazione delle norme urbanistiche, paesaggistiche e demaniali marittime, ovvero, per aver realizzato pedane, soppalchi, terrazzamenti, cabine, gazebo, chiosco bar, tettoie in assenza di autorizzazione paesaggistica. Trattandosi di strutture removibili non è scattato nessun sequestro: “Saranno effettuati ulteriori controlli – ha confermato il capitano Di Lucco- per verificare la corretta interpretazione normativa e se gli stabilimenti in esame hanno regolarizzato la propria posizione”. Tra gli indagati anche l’architetto Giovanni Landi (difeso dall’avvocato Franco Dente), tecnico del comune di Pontecagnano, per non aver impedito la realizzazione degli interventi. Quest’ultimo è già stato ascoltato dal magistrato titolare dell’indagine per chiarire la propria posizione. Coinvolti, in pratica, tutti i lidi della Marina di Pontecagnano. Dal Lido Azzurro al Picentino passando per l’Acapulco, l’Isla Bonita, il Panfilo, il Mary Rose (quest’ultimi tre difesi dall’avvocato Ciliberti) ed altri stabilimenti del litorale. Tutto ruota intorno ad una recente interpretazione della Cassazione in relazione ai permessi a costruire inerenti gli stabilimenti balneari. Secondo il nuovo indirizzo gli interventi, anche se riguardanti strutture removibili, non sarebbero riferibili a strutture stagionali e di conseguenza sarebbe necessario, per ogni lavoro da effettuare, il permesso a costruire e non la semplice Dia (denuncia di inizio attività). Un cavillo tecnico – sostengono i gestori degli stabilimenti e rimarcano gli avvocati. “Non si tratta di un abuso perché ci sono documenti ed incartamenti che dimostrano che le richieste sono state avanzate regolarmente. A nessuno, però, era stata comunicata questa nuova interpretazione della normativa”. A determinare l’apertura dell’inchiesta sarebbe la mancanza dell’autorizzazione da parte della soprintedenza perché l’area in questo è sottoposta a vincolo paesaggistico. Parere che deve essere ridiscusso ciclicamente a differenza di quanto rivendicano i proprietari degli stabilimenti balneari. Secondo quest’ultimi era sufficiente la denuncia di inizio attività regolarmente presentate per ogni intervento. Sicuramente è su questo cavillo che si articolerà la querelle giudiziaria con i proprietari dei lidi pronti ad affilare le armi per la controffensiva.
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