di Erika Noschese
“Se il maltempo arriva dalla montagna prendi la zappa e vai in campagna, se il maltempo arriva dal mare prendi la pentola e vai a cucinare”. Questo detto contadino indica la possibilità di prevedere se il maltempo sarà realmente pericolo o meno, in particolare nelle campagne: quando infatti si ha l’impressione che il maltempo provenga dalle zone montuose, la tradizione indica che sia solo molto “rumoroso” ma non provoca danni; se invece è dal mare che ha origine il maltempo, i danni possono essere incalcolabili. Ne sa qualcosa il litorale della provincia di Salerno, sconvolto dall’allerta meteo di questi ultimi giorni con danni ingenti a strutture balneari e non solo; lo sanno bene le colture locali, che in tutta la provincia continuano a subire l’ira di venti e piogge, con lo spettro sempre più vicino dell’ulteriore abbassamento delle temperature. A temere ciò è anche il presidente provinciale di Confagricoltura Salerno, Antonio Costantino.
Calcolare i danni è ancora impossibile.
«Stiamo realizzando un report tra le varie zone, per mezzo di indagini, telefonate ai vari tecnici che operano nei diversi territori e ai nostri associati. Purtroppo, il maltempo non è ancora finito».
Cosa preoccupa maggiormente l’intero comparto?
«Due cose, su tutte: la prima è l’esondazione dei fiumi che, inondando i campi, ci hanno già fatto registrare danni molto seri sulle colture orticole annuali. Un campo di scarole allagato, per fare un esempio, significa produzione totalmente persa. Ma quello che ci preoeccupa ancor di più è che intorno al fiume Sele ci sono impianti arborei che, se restano allagati per più di qualche giorno, determinano la moria delle piante per asfissia. Il prolungamento di queste piogge, il fatto che il fiume non rientri, per noi è molto preoccupante così come per le aziende che hanno impianti attorno ai bacini di questi fiumi».
Senza contare la questione temperature.
«È un’altra cosa che ci preoccupa e che ci auguriamo non accada: poiché abbiamo avuto inverno molto caldo, le piante “partono” con i loro processi naturali. Una volta partite con gemme e fiori, al primo calo brusco delle temperature vicine allo 0, chiaramente si possono registrare danni seri che comprometterebbero la produzione primaverile».
Ci sono danni anche alle colture in serra?
«Per le strutture serricole non abbiamo registrato allagamenti, per fortuna, ma i danni, seppur pochi, ci sono stati. Abbiamo immagini di alcune strutture cui il vento ha tirato via la plastica e danneggiato la struttura, ma non sono moltissime. Dove ci sono stati, però, i danni registrati sono ingenti».
Gli agricoltori rischiano di pagare il prezzo più alto.
«La prima cosa che faremo è richiedere lo stato di calamità. Stiamo raccogliendo tutte le informazioni necessarie ovunque, a partire dalla Costiera da cui abbiamo notizie di danni ai limoneti a causa di frane e smottamenti avvenuti sui terrazzamenti. Il discorso però vale per tutta la provincia di Salerno: nel momento in cui andiamo a dimostrare un danno che ha raggiunto il 30% delle produzioni, automaticamente scatta il decreto di calamità. Il nostro compito è dimostrare, in base ai numeri, che vi è stato un danno in termini percentuali vicini almeno al 30%. Per questo stiamo cercando di avere quanti più dati possibili, in virtù della volontà di ottenere questo risultato».
Parrebbe una soluzione che però non risolve.
«Purtroppo sì, non si risolve tutto col decreto di calamità: alla fine, si può accedere a un fondo dove magari possono intervenire non con tributi sulla perdita del raccolto ma con il rinvio dei debiti. Sono palliativi che non risolvono il problema, perché se perdi il raccolto purtroppo devi pensare alla prossima campagna e cercare di resistere, restando in piedi fino ad allora».
Ci sono colture, in particolare, su cui si temono i maggiori rischi?
«Colture che possono subire danni dal freddo? Le fragole. Siamo in una fase in cui le fragole iniziano già a produrre, ci sono piante che hanno già il fiore, ma con il calo delle temperature si può bruciare il fiore e perdersi tutta la prima fase di raccolta. Siamo in una situazione difficile. Speriamo che le temperature non si abbassino ancora».
L’irrigazione può diventare rischiosa, causa maltempo?
«Generalmente, l’irrigazione nei campi avviene attraverso acqua che viene messa a disposizione dai consorzi di bonifica. I consorzi, a loro volta, hanno dei propri canali in cui l’acqua raggiunge le varie aziende agricole. Capita spesso, purtroppo, che in periodi eccezionali come questo, magari non sia stata effettuata una pulizia preventiva dei canali e quindi questi ultimi si otturino, perdendo automaticamente acqua e provocando allagamenti ulteriori, oltre quelli dei fiumi».
Con questi livelli di movimentazione di detriti e rifiuti posati, però, sono a rischio anche le colture che usufruiscono dell’acqua dei fiumi. Soprattutto nell’agro-nocerino-sarnese.
«Rispetto a fiumi come la Solofrana, che vive una situazione diversa rispetto al fiume Sele, con problemi di acqua e di ciò che trasportano i fiumi: sinceramente non so darle risposte precise, ma si tenga presente che comunque l’agricoltura dell’agro-nocerino-sarnese è di livello familiare, con piccolissimi appezzamenti dove vi è una coltura sicuramente intensiva, ma non credo si faccia uso, oltre ai canali consortili di bonifica e di irrigazione, anche di acqua prelevata dal fiume. Questo non sarebbe possibile, proprio dal punto di vista legislativo. Le acque devono avere garanzia di salubrità. Se poi il problema è che il fiume diventa un ricettacolo di rifiuti: questa è la triste realtà, perché in alcuni casi non c’è controllo. Ma quell’acqua lì genericamente arriva a mare, quindi il discorso è totalmente diverso rispetto al tema agricolo. L’inquinamento, lì, è del territorio e non riguarda esclusivamente il sistema agricolo».
Differenza sostanziale, quindi, tra coltura di area nord e di area sud. Anche per tipicità.
«L’agricoltura nell’agro è sicuramente tipica, come la piana del Sele, ma sono tutti piccoli appezzamenti seguiti da imprese familiari, dove vengono portate avanti colture che raggiungono per lo più i mercati locali. Si tratta di colture differenti rispetto a quelle industriali della Piana del Sele, dove ci sono macroaziende che hanno produzioni che poi si esportano in tutta Europa».
Quindi anche il pomodoro è escluso dal territorio.
«Il pomodoro da trasformazione che utilizzano le aziende proviene tutto dalla Puglia o dalla Basilicata, ma lì di grosse estensioni non ce ne sono più. Per il San Marzano o per il Corbarino parliamo di piccole produzioni, eccellenti, ma non ci sono tanti terreni dove coltivano questo prodotto. Le aree coltivabili, nell’agro nocerino sarnese, sono ridotte a piccoli appezzamenti e non a grandi estensioni. Dunque, la grande mole del pomodoro trasformato è tutta prodotta in aree molto ampie che generalmente arrivano dalla provincia di Foggia. Ci sono camion e camion di pomodori che vengono trasformati dalle aziende. Qui è rimasta la trasformazione, ma la produzione avviene altrove».