La Corte di Cassazione conferma l’impianto accusatorio della Procura della Repubblica a carico del primario di cardiochirurgia dell’Ospedale Ruggi d’Aragona di Salerno. La sentenza della Corte di Cassazione, della quale saranno presto reso note le motivazioni, conferma l’ordinanza applicativa della misura cautelare interdittiva disposta dal Gip di Salerno su richiesta della Procura della Repubblica nei confronti di Enrico Coscioni e della sua equipe, tutti sanitari in servizio presso la stessa Azienda e componenti dell’equipe chirurgica presieduta e coordinata dal direttore e primo operatore, il dottore Coscioni sospeso per un anno dalla professione medica La vicenda è relativa all’intervento chirurgico di “sostituzione valvolare aortica con bioprotesi e rivascolarizzazione coronarica”, cui Umberto Maddolo, 62 anni, di Montecorvino Rovella, in provincia di Salerno, venne sottoposto il 20 dicembre 2021 presso il reparto di Cardiochirurgia, e successivamente deceduto. Il giudice per le indagini preliminari ritenne la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti dei cinque indagati applicando la misura interdittiva del divieto di esercizio della professione medica, inibendo loro ogni attività medica e tutte le attività ad esse inerenti, per la durata di dodici mesi a carico del Primario Coscioni. Il quadro indiziario fu ricavato dal giudice dall’attività d’indagine eseguita dai carabinieri del Nas di Salerno combinata ai verbali di sommarie informazioni rese dal personale ospedaliero oltre che dai familiari della vittima ed inserendo tali elementi nel perimetro scientifico tracciato dai diversi elaborati tecnici redatti dal collegio dei consulenti tecnici nominato dalla Procura. I contestati profili di responsabilità furono articolati dal giudice a carico di tutti i componenti dell’equipe chirurgica su quattro profili di colpa: il primo riferibile alle modalità di preparazione dell’intervento chirurgico al quale venne sottoposto il Maddolo; il secondo alle scelte operate in ordine all’esecuzione dell’intervento; il terzo alle modalità di esecuzione dell’intervento prescelto con particolare riferimento all’abbandono di un lembo di garza nel corpo della vittima e, da ultimo, alle modalità con le quali, accertato nell’immediatezza tale evento avverso, lo stesso fu gestito dai medici. In particolare, secondo l’impostazione accusatoria, allo stato ritenuta fondata dalla Cassazione che ha anche rigettato le deduzioni difensive degli indagati, sul piano pre-operatorio, in violazione delle linee guida di settore: non sarebbe stato convocato il c.d. “Heart Team” che avrebbe dovuto prevedere le complicanze insite nell’intervento poi eseguito e orientare il trattamento verso una procedura di cardiologia interventistica piuttosto che verso un intervento cardiochirurgico. Sotto il profilo strettamente operatorio, poi, individuata come “la prima fase” dell’intervento, l’inatteso riscontro da parte dell’equipe medica di una estesa calcificazione dell’aorta ascendente, avrebbe dovuto suggerire, secondo le linee guida, di sospendere l’intervento, laddove, secondo l’ordinanza del gip, Coscioni e l’equipe completarono l’intervento, ignorando o sottovalutando i rischi connessi alla necessità di manipolare significativamente un cuore provato da un infarto recente e già gravato da una significativa disfunzione. Con riguardo al terzo ed ultimo profilo l’ordinanza cautelare confermata dai giudici della Cassazione evidenzia che, concluso l’intervento di sostituzione valvolare aortica, dopo la chiusura del miocardio, l’equipe di Coscioni “dimenticò” un lembo di garza di 8 omettendo di rimuoverlo dal ventricolo sinistro così lasciandolo migrare alla ripartenza dell’attività cardiaca e, dunque, alla ripresa del flusso ematico nell’aorta e, senza soluzione di continuità, nella biforcazione aorto-iliaca ove veniva effettivamente rinvenuto in sede autoptica. Sul punto, la condotta conforme alle leges artis individuata nell’ordinanza cautelare, sarebbe stata quella della rimozione immediata del lembo di garza alla fine dell’intervento da parte dell’equipe operatoria che invece non sarebbe avvenuta. Gli accertamenti necessari e possibili per un immediato rinvenimento del lembo di garza smarrito non solo non sarebbero stati compiuti ma sarebbero stati sostituiti da accertamenti inefficaci e gravemente stressanti per il paziente con licenziamento dello stesso dalla sala operatoria nonostante il mancato colposo rinvenimento ed estrazione del lembo di garza e con collocamento in sala di rianimazione ove avveniva l’exitus. Anche quanto alla fase postoperatoria fu individuato un ulteriore profilo di colpa per negligenza costituito dall’abbandono del lembo di garza in situ e dall’autorizzazione all’uscita del paziente, nonostante potessero essere svolti ulteriori e più efficaci esami, senza compiere tali ulteriori accertamenti necessari al rinvenimento della garza e senza una corretta gestione delle consegne ai colleghi della rianimazione ai quali non sarebbe stato rappresentato l’evento avverso verificatosi in sala operatoria non consentendosi un’adeguata valutazione sulle condizioni del paziente impedendo di fatto qualsiasi intervento. L’ordinanza cautelare evidenziò l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del Coscioni anche in relazione al delitto di falso ideologico aggravato, ricavati dalle dichiarazioni dei colleghi e dalla mancanza di alcuna traccia nella documentazione sanitaria redatta a cura del Primario della effettiva scansione temporale verificatasi in sala operatoria dalle ore 16, epoca del mancato colposo rinvenimento della garzina, alle ore 24.00 circa quando il Maddolo veniva licenziato in rianimazione. . Il quadro indiziario ricostruito ha così trovato conferma, rimanendo ferma la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva di condanna. Il Giudice aveva anche respinto, peraltro, la richiesta di misura interdittiva dalla sospensione del Coscioni dall’esercizio del pubblico ufficio ricoperto quale presidente dell’Agenas, ente pubblico non economico di rilievo nazionale ed organo tecnico scientifico del Servizio sanitario nazionale. La sospensione fu anche deliberata dal Consiglio dei Ministri a giugno scorso. Enrico Coscioni pochi giorni fa a preso parte a un convegno nella sua qualità di presidente Agenas mentre ha conservato il suo incarico di docente per la cattedra di cardiochirurgia dell’università di Salerno. Nonostante l’interrogazione parlamentare che dopo la bufera giudiziaria firmò l’onorevole Bicchielli che chiese le dimissione dall’Agenas e la revoca dell’incarico di docente dall’università di Salerno, Coscioni è ancora in cattedra a Unisa diversamente dalla sorte toccata all’altro docente di medicina Carmine Alfano sospeso per e frasi omofobe e razziste pronunciate e registrate dai medici specializzandi. Sull’affare Coscioni due pesi e due misure del rettore Loia: Alfano subito sospeso, Coscioni ancora in carica. L’ordinanza cautelare evidenziò l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di Coscioni anche in relazione al delitto di falso ideologico aggravato, ricavati dalle dichiarazioni dei colleghi e dalla mancanza di alcuna traccia nella documentazione sanitaria redatta a cura del primario dell’effettiva scansione temporale verificatasi in sala operatoria dalle ore 16, epoca del mancato colposo rinvenimento della garzina, alle ore 24 circa quando il paziente è stato licenziato in rianimazione. Il gip del Tribunale di Salerno, dispose la sospensione dalla professione medica per 1 anno per Enrico Coscioni consigliere per la sanità del presidente della Giunta regionale Vincenzo De Luca.
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