Finissage stasera, alle ore 19, per la mostra “Viaggiatore d’altri mondi” allestita negli spazi della Galleria Camera Chiara nel centro storico di Salerno, dove Armando Cerzosimo dialogherà con l’artista sulla fotografia
Di Olga Chieffi
Sul finire degli anni Settanta, il fotografo Paolo Monti auspicava: “Un occhio nuovo per cose antiche” ed esortava i fotografi a essere “contemporaneamente visivi e visionari”. E’ giusto questo l’invito che ci giunge da Constantino Luis Marino ed Armando Cerzosimo a conclusione degli undici giorni della mostra “Viaggiatore di altri mondi” che stasera, con start alle ore 19 vivrà il suo finissage, con un dialogo sulla fotografia tra i due fotografi. Constantino Luis Marino, ha rivelato attraverso una scelta di 14 immagini su oltre quattrocento scatti, visionati, provenienti da tutto il mondo, il suo segno fotografico e la sua identità, in questa mostra curata da Armando Cerzosimo, che vanta il patrocinio morale del comune di Salerno e del C.N.A Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa ospite della Camera Chiara Galleria Sala Posa, sita in via G. da Procida, 9, nel centro storico di Salerno e che in questi undici giorni ha visto animata da diversi eventi, in particolare dagli incontri con Erminia Pellecchia, Cristina Tafuri, dagli interventi del Primo Cittadino Vincenzo Napoli e del Presidente provinciale del C.N.A. Lucio Ronca, e su tutti con i liceali del Convitto Nazionale Torquato Tasso e del Liceo Artistico Sabatini-Menna. Vari gli argomenti trattati a cominciare da termini quali visione, visionarietà, antichità, paesaggio come luogo e tòpos, ove convergono e possano far riflettere seriamente chi pratica la fotografia, a vario livello. Si inizia da quell’essere “visivi” di squisita derivazione prospettica che, a lungo andare, si è trasformato da potere e consapevolezza dello sguardo a ingenua maniera fotografica, maniera che traduce, ma mai declina con incisività e contezza, una quantità spropositata di immagini. Si è, in questi giorni, con Constantino, analizzato il passaggio dalla visione alla visionarietà, che è l’attitudine che alcuni uomini posseggono e che permette loro di non solo di vedere gli oggetti, ma di visionarli, con estrema lucidità. Nel momento in cui si usa una fotocamera, strumento che è di fatto una protesi visiva, il verbo “visionare” diviene assai più stimolante del semplice vedere. Nel corso degli incontri, in particolare con i ragazzi, oltre a parlare di strumenti e tecniche, luce ed ispirazione, istante, si è andata quasi a comporre una storia della visione, che spesso è storia di un’umanità vivace e straordinariamente dotata di pensiero, come si è inteso indirizzare le nuove generazioni, in modo che possano entrare a farne parte. Ewrin Panofsky nel suo intramontabile saggio “La prospettiva come forma simbolica”, ci induce a non dimenticare che la prospettiva piana, collaudata nel Rinascimento e perfezionata nei secoli a venire, pone le sue fondamenta su due dati essenziali: “innanzitutto che noi vediamo con un occhio immobile, in secondo luogo che l’intera sezione piana della piramide visiva possa valere come resa adeguata della nostra immagine visiva. Bene, è altrettanto risaputo, -continua Panofsky – che entrambi questi presupposti rappresentano un’ardita astrazione della realtà, poiché strutturando lo spazio come infinito, costante e puramente matematico si ottiene una forma addirittura antinomica rispetto a quella dello spazio psicofisico”. Non solo, ma gli artisti europei del Quattrocento e del Cinquecento, si applicarono allo studio dell’ “item perspectiva”, ovvero del “vedere attraverso”, secondo una definizione di Albrecht Dürer. Non dimentichiamo, poi, che la prima riflessione sull’impronta lasciata da un oggetto su una superficie sensibile alla luce si deve ad Aristotele e che la fotografia, lungi dall’essere un’invenzione, fu la strategica e politica messa a punto di un lunghissimo e complesso processo speculativo germogliato nella classicità. Le fotografie hanno per questo significato complicato: il grandissimo dettaglio, il mondo che va oltre l’intenzione e il modo in cui queste immagini agiscono sul nostro pensiero e inconscio, con il loro essere mosaico, col loro essere synthesis. “Un diario di bordo questa esposizione la definisce il critico d’arte Cristina Tafuri. Per la sua professione Constantino Luis Marino ha viaggiato in tutto il mondo. Da questi viaggi egli ne ha tratto una specie di diario di bordo fotografando, dei paesi visitati, monumenti e persone come se li guardasse per la prima volta. Fa parte del fotografo, infatti, vedere in modo più intenso di quanto non lo facciano le altre persone. In alcune delle foto scattate i monumenti si evidenziano per la loro immanenza, bloccati, solitari, avulsi da tutto, mentre gli uomini si offrono allo sguardo stemperati in una visione che rimanda a tempi lontani. Le sue fotografie hanno già abbandonato da tempo l’ intento documentario per spingersi nel territorio del vissuto interiore fissato, prima che sulla carta, nella memoria di un tempo immobile e silenzioso”.