di Michelangelo Russo
Il periodo pasquale è propizio, di norma, per l’avvento di certi miracoli. E sarebbe un miracolo di resurrezione l’improvvisa riapparizione, per Salerno, di progetti possibili trapassati, nell’oblio generale, sui territori dell’Ade. Partiamo dal recente crollo del cornicione del palazzetto liberty della Fondazione Menna. Qualcuno poteva rimetterci le penne. Lo stato di abbandono del vecchio edificio è osceno e ancora più grave alla luce della notorietà che ha assunto negli ultimi anni questo edificio per le note polemiche che ci sono state. Parlando di miracoli, sono passati quasi cinque anni (parliamo dell’ottobre 2018) da quando, dinanzi a una platea stracolma e visibilmente partigiana, il Governatore De Luca Vincenzo promise di destinare al ripristino del nobile palazzetto la somma di euro 1.000.000 (un milione) come contributo regionale. L’annuncio fu riportato con risalto grande sulla stampa. Come prevedibile dalla ragione, per le tante promesse disilluse dai fatti concreti di inadempienza successiva, nulla è accaduto. E non ci sono state scuse o giustificazioni per l’inconcepibile ritardo a scapito dell’incolumità pubblica. Speriamo quindi in una resurrezione del progetto di recupero. C’è un’altra salma in attesa di resurrezione. Il ripascimento delle spiagge del lungomare fino all’arenile di Santa Lucia. Quando inizia concretamente? E soprattutto: sarà fatto finalmente con sabbia di mare, di colore e consistenza simile alla sabbia scura degli arenili storici di Salerno, o sarà dispensato nella natura e consistenza dell’orrida spiaggia finta fatta con pietrame di cava, come è quello sinora realizzato? C’è il sospetto che un ripascimento fatto come comandano le linee guida del Protocollo Stato Regioni, e cioè un risabbiamento come vuole lo Stato italiano, realizzato con identità di grammatura e colore del preesistente, sarebbe una sconfessione di quanto innaturalmente finora fatto. La gente si chiederebbe come mai in precedenza non sono state osservate le regole del Protocollo. E qui potrebbe prendere corpo l’ipotesi di un disastro ambientale in cui potrebbe ficcare il naso (e sarebbe opportuno) la Procura. E così il ripascimento tanto annunciato giace, per il momento, nei territori dell’oltretomba, aspettando il miracolo di una resurrezione. Ovviamente, sulla qualità e sul perché di quanto denunciato anche da questo giornale, la Pubblica Amministrazione cittadina tace. E non si sentono, se non da qualche volontario tenace di questa opposizione, voci serie e univoche di reclamo di spiegazioni. Tutto tace, come si conviene al silenzio luttuoso dei giorni precedenti la Pasqua. Ma c’è ancora un altro mistero, avvolto nelle tenebre dei trapassati. Quello del collegamento Porto con il vallone Cernicchiara. Il più grosso sconvolgimento, per i prossimi secoli, dell’immagine iconica del paesaggio salernitano, quello tramandato dalle cartoline che ritraggono il lungomare nella cornice di San Liberatore e il profilo dell’inizio della Divina Costiera, sta per essere sfigurato per sempre da un cataclisma di tornanti di cemento e di sbancamenti che dovrebbero portare l’uscita della galleria di via Benedetto Croce a collegarsi con l’autostrada. Non è un caso che il “rendering” tridimensionale di quest’opera ciclopica non sia stato diffuso, come pure ci si attenderebbe. Eppure, e qui il mistero si infittisce, un piano diverso c’era, e, a quanto sembra, fu perfino portato negli uffici comunali per un inizio di valutazione. Quel piano prevedeva una totale ricostruzione del disastro vallone Cernicchiara e della cava tuttora operante. Prevedeva rialberature, sistemazioni paesistiche, e addirittura una struttura alberghiera collegata ai prevedibili sbarchi di turisti delle crociere. Al momento, di questo progetto di risistemazione ambientale di iniziativa privata, sicuramente migliore in ogni caso della devastazione a spesa pubblica annunciata, si è perduta traccia e memoria. Come accade nelle democrazie avanzate (e quella italiana lo è ancora), di fronte a una notizia del genere, una qualche precisazione pubblica dovrebbe arrivare da Palazzo di Città. Dovrebbe, perché, non dimenticatelo, per i giornalisti è difficile accedere agli Uffici Comunali dell’Urbanistica per assumere legittime informazioni sull’esistenza di questo piano e sulle ragioni del suo oblio. Nel frattempo, strani grattacieli di container crescono ai piedi del Castello di Arechi, in un’area attigua al vincolo paesaggistico del maniero millenario. Non c’è che da sperare in un miracolo di resurrezione di progetti che qualcuno ha fatto morire. Questo è l’augurio di Buona Pasqua.