
di Erika Noschese
La Corte Costituzionale italiana si trova nuovamente a esaminare la questione dell’accesso alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) per le donne single, con particolare attenzione all’articolo 5 della legge 40/2004, che attualmente limita l’accesso a tali tecniche alle sole coppie eterosessuali. La legge 40/2004, che disciplina la PMA in Italia, è stata oggetto di diverse modifiche nel corso degli anni a seguito di sentenze della Corte costituzionale. La discussione attuale si concentra sulla presunta incostituzionalità dell’articolo 5, che viene considerato discriminatorio nei confronti delle donne single che desiderano avere un figlio. I sostenitori dell’accesso alla PMA per le donne single sostengono che il divieto viola i diritti fondamentali della persona, come il diritto alla salute e all’autodeterminazione. Nel caso in cui la Corte costituzionale dovesse dichiarare l’illegittimità dell’articolo 5, si aprirebbe la possibilità per le donne single di accedere alle tecniche di PMA in Italia, allineando così la legislazione italiana a quella di altri paesi europei che già consentono tale accesso. La decisione della Corte costituzionale è quindi attesa con grande interesse, poiché potrebbe segnare una svolta significativa nel dibattito sulla PMA in Italia. Abbiamo discusso del tema con il direttore della UOSD Procreazione medicalmente assistita dell’ospedale “Ruggi” di Salerno, dott. Giorgio Colarieti.
Quali sono le principali implicazioni mediche e psicologiche per una donna single che intraprende un percorso di fecondazione assistita, sia per quanto riguarda la salute della madre che quella del bambino?
«Da un punto di vista medico non cambia assolutamente nulla rispetto a qualunque tecnica di fecondazione assistita di tipo omologo. Se io utilizzo degli ovociti della donna in età fertile, posso farlo tranquillamente, l’unica cosa è che utilizzo liquido seminale da donatore. Non c’è grande differenza, non aggiunge niente dal punto di vista die rischi medici. L’unico problema è, pensandoci, riferito a quei casi in cui si utilizza l’utero in affitto, ma quello è un altro discorso, completamente diverso. A parte che quella pratica non è permessa in Italia, in assoluto, ma quello è un altro discorso che ha implicazioni diverse. Le possibilità sono tante: due donne, che per qualsiasi ragione non possono portare una gravidanza avanti, utilizzano l’utero di una terza donna, cambiando totalmente ogni discorso di partenza perché si utilizzano ovociti di un’altra persona. Le combinazioni sono molteplici. Dal punto di vista psicologico, anche questo rientra in una scelta e valutazione delle persone. Facendo un’eterologa, una donna che non ha più una riserva ovocitaria e ha una certa età, va a prendere ovociti di un’altra donna per poter avere una gravidanza. Anche lì esistono implicazioni psicologiche, ma questo in Italia è permesso. Secondo me vale per la coppia che fa un percorso di PMA e a maggior ragione vale per quella persona single: spesso non ci rendiamo conto fino in fondo delle scelte che facciamo. Sono scelte importanti che riguardano un terzo, che è il bambino. Non è soltanto il desiderio della singola persona: bisogna avere le idee chiare, perché si mette al mondo un essere umano che ha tutti i suoi diritti. Una certa forma di tutela è giusto che ci sia, in tutti i casi. Anche se i genitori sono incapaci».
Quali sono le considerazioni etiche più rilevanti riguardo all’accesso alla PMA per le donne single, e come si conciliano con i principi della legge 40/2004 e le possibili evoluzioni future?
«Rimane un problema politico. Ci sono coppie di diversi Paesi europei a cui è anche permesso, anche per l’eterologa classica in cui c’è una coppia che esiste, in presenza di un problema, ricorrere a un donatore o a una donatrice di gameti. Alcuni Paesi in Europa, per legge, dicono che, arrivato al diciottesimo anno di età, viene comunicato chi è il genitore biologico. Accade, ad esempio, in Germania. Molta gente non accetta questo fatto che venga detto ai figli al diciottesimo anno di età come vengono concepiti, quindi si trasferiscono all’estero, in Paesi in cui non esiste questa normativa, perché ritengono sbagliato che i figli sappiano chi è il loro genitore biologico. In Europa c’è tutta una problematica in materia: ogni Paese legifera a modo suo, con regole proprie. Il turismo procreativo esiste anche per questo tipo di normative. La Spagna è molto liberale sul tema, per esempio. Altro esempio: se una donna single vuole, prende l’aereo, spende i soldi necessari per andare in Danimarca dove non chiedono alcunché, viene dato del seme maschile senza fare domande, in maniera anonima e senza giustificazione. Anche vedendo le leggi sulla donna, sul delitto d’onore, l’Italia ha un pensiero in evoluzione. Molto deve essere legato, secondo me, anche alla nostra cultura. Abbiamo una cultura che nasce qualche millennio fa. Ciò non toglie che tanto è cambiato, e oggi è giusto che ci si adegui allo stato attuale delle cose. Lo Stato però ha il diritto di dare garanzie al bambino, già prima che possa nascere: dobbiamo tutelare assolutamente i minori, perché loro non hanno capacità di scelta: è un’imposizione. Personalmente credo che anche l’età dovrebbe essere un deterrente: bisogna garantire ai propri figli una protezione e una garanzia per quanto più tempo possibile: non posso immaginare di fare un figlio in età eccessivamente avanzata. Fa parte di responsabilità che dobbiamo tenere in considerazione. Noi dobbiamo dare gioia a chi viene al mondo, non solo a chi magari usufruisce della PMA. Dobbiamo garantire sistemi che diano la possibilità a tutti di creare una propria famiglia, purché ci siano presupposti di serenità per chi viene al mondo, anche nel tempo. Io non trasferisco mai due embrioni nel mio lavoro, ad esempio. Ma le gravidanze gemellari mi offrono maggiori rischi sulla salute del bambino, e non vedo perché dovrei correre questo rischio. Abbassa i risultati, ho meno risultati rispetto a chi trasferisce più embrioni, ma preferisco avere meno gravidanze ma più bambini sani».
Quali sono i criteri di selezione per i donatori di gameti, e quali sono le procedure per garantire la sicurezza e la qualità dei gameti utilizzati nella PMA?
«I criteri sono: anzitutto, per un problema di risultati, l’età di chi dona. Più è giovane la donatrice, maggiori sono i risultati. Tenga presente che per l’essere umano l’età va di pari passo col peggioramento dei risultati, quindi con la qualità degli ovociti. Una donna di 20 anni ha ovociti con l’80% di possibilità di fecondare. Ufficialmente in tutta Europa vengono fatti screening di tipo infettivologico, per escludere malattie più frequenti, di tipo genetico per escludere patologie genetiche di quelle numeriche, in particolare, oltre a un colloquio per scongiurare familiarità con altre patologie. Il vero problema è: quante volte utilizzano una donatrice? Ci sono regole, teoricamente, in Europa, sull’invio di gameti in posti diversi o sulla possibilità di utilizzare una donatrice per non più di dieci volte, ma ciò rientra nella serietà dei centri considerati. Nei Paesi dell’est i controlli sono meno serrati, per cui c’è il rischio che una donatrice sia usata trenta volte, visto che molti donano anche per necessità. Questo può diventare un problema perché si possono ritrovare poi persone con lo stesso patrimonio genetico».
Quali sono le tecniche di PMA più comunemente utilizzate per le donne single, e quali sono i tassi di successo e i potenziali rischi associati a ciascuna procedura?
«Fra poco arriviamo al 10% di nati con PMA. Le tecnologie sono talmente alte e standardizzate da non avere quasi più niente di sperimentale. Le attrezzature che abbiamo attualmente in dotazione in ospedale permettono di vedere con la telecamera il monitoraggio dell’embrione per 24 ore al giorno, l’intelligenza artificiale fa le misurazioni: quindi, mentre prima misurare era soggettivo, ora è oggettivo. Per dire quanto tutto sia standardizzato, ormai.
Noi facciamo tutto: non facciamo le eterologhe in ospedale perché siamo in attesa di un’autorizzazione dell’istituto nazionale dei tessuti, per poter importare gli embrioni perché in Italia tutti gli embrioni vengono importati dall’estero. Non esiste disponibilità di embrioni in Italia. La nostra legge sulla donazione in Italia è molto severa, mentre all’estero ci sono in abbondanza. Queste donne perdono giorni di lavoro e non hanno nemmeno rimborsi. All’estero rimborsano tutte le spese sostenute, noi nemmeno quelle. Chiaramente, quindi, le donatrici non ci sono. Compriamo da Spagna, Grecia e da vari Paesi europei. Questo è uno dei problemi di questo Paese, chiaramente con ricadute su costi elevati. Un lotto di ovociti comprato dalla Spagna, ad esempio, viene a costare circa 5mila euro».