di Arturo Calabrese
In Cilento, tra le tante emergenze, c’è sicuramente quella legata all’alta presenza di ungulati nel territorio. Sono talmente tanti che si avvicinano sempre più all’abitato, distruggendo i campi coltivati e costituendo un pericolo per le attività umane.
Il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni sta cercando con numerose iniziative di fermare questo fenomeno, ma con scarsi risultati. Negli anni scorsi, è stato interpellato anche il professore di Zoologia dell’Università Federico II di Napoli Domenico Fulgione. Il docente interviene sull’argomento a distanza di tempo dichiarando come la sua consulenza sia stata poco ascoltata dall’ente di Vallo della Lucania e il suo piano di abbattimento applicato in maniera non consona.
«Il Parco ha applicato male, secondo me, quello che c’è scritto sul piano – dice l’esperto – risultati non sono positivi, proprio perché il Parco non si preoccupa di rendere operativo quello che ha approvato il Ministero e che io ho scritto. Per una corretta gestione del territorio è necessario conoscere e applicare la conoscenza».
Insomma, l’emergenza è ancora tale e lo sarà ancora per molto tempo se non si interviene in maniera fattiva. Ovviamente si tratta di una criticità che arriva da lontano e che non è ascrivibile solo al presente o al recente passato, ma si tratta di anni e anni di una errata gestione.
Partiamo dal fare un resoconto: qual è la situazione cinghiali nel Cilento?
“Purtroppo sono tanti e confliggono con le attività produttive. La loro densità è variabile sul territorio e si spostano rapidamente. I danni reali sono sempre a carico dei piccoli agricoltori e allevatori. Bisognerebbe avviare una seria politica degli indennizzi”.
Lei ha lavorato per il Parco proprio su tale argomento: quali i risultati?
“No, io non lavoro per il Parco. Fui chiamato a redigere il Piano di Abbattimento, che fu approvato dal Ministero. Poi il Parco ha applicato, male, secondo me, quello che c’è scritto sul piano. I risultati non sono positivi, proprio perché il Parco non si preoccupa di rendere operativo quello che ha approvato il Ministero e che io ho scritto. Non basta aumentare il numero dei selecontrollori, è anche necessario far funzionare questa macchina. Tutti questi uomini armati, cosa fanno? Quali e quanti cinghiali abbattono? Siamo sicuri che i tecnici del Parco abbiano percezione del loro operato?”.
Ultimamente all’emergenza si è aggiunta la criticità della Peste Suina: qual è lo stato delle cose?
“La peste suina è una malattia che è difficile eradicare dalle popolazioni selvatiche. Si diffonde rapidamente e passa come un’onda non arginabile. Io non credo nei depopolamenti e altre fantasie del genere. È necessario evitare la trasmissione dal selvatico (cinghiale) alle popolazioni domestiche (maiali), affinché questa malattia non provochi danni economici a una già fragile economia locale. La malattia c’è ancora tra i cinghiali cilentani”.
Come hanno fatto in altre zone d’Italia dove la situazione non era diversa?
“La strategia viene decisa a livello Nazionale. Il Commissario Straordinario alla Peste Suina Africana è nominato dal Governo e per questo applica le stesse restrizioni alle regioni in cui si registrano casi positivi. La mia impressione è che il nuovo commissario sia meno incline a massicci depopolamenti… speriamo”.
Quindi, in chiusura, cosa fare?
“Voglio rimarcare che per una corretta gestione del territorio è necessario conoscere e applicare la conoscenza. Gli Enti territoriali come il Parco Nazionale del Cilento hanno le informazioni che gli scienziati producono nelle ricerche che sviluppiamo sul territorio. Devono renderle operative, è un loro dovere. Il Parco deve capire che gestisce una risorsa complessa. Un territorio fatto di animali, piante, persone, attività tradizionali, cultura. Un territorio che ha una sua storia. Non può giocherellare con lupo a cui ha applicato un dispositivo satellitare, per vedere dove va in giro nel Parco. Deve affrontare la gestione del lupo, del cinghiale, la conservazione del patrimonio ambientale compatibilmente con le attività produttive, deve gestire un patrimonio che è proprietà dei cilentani”.