Oggi alle ore 17, Sal Da Vinci sul palcoscenico del Teatro delle Arti, illustrerà la sua trasformazione da muschillo nel film di Loy a prete nel celeberrimo musical
Di OLGA CHIEFFI
Nel pomeriggio, alle ore 17, verrà inaugurata l’edizione 2017 di “Cinema è Teatro” un progetto ideato da Pasquale Squitieri e realizzato qui a Salerno al teatro delle Arti, con incontri mirati su titoli che hanno accomunato le due muse. Sarà Sal Da Vinci, insieme al giornalista Gabriele Bojano del Corriere del Mezzogiorno, ad illustrare quel passaggio dal film di Nanni Loy, datato 1989 al musical, “C’era una volta….Scugnizzi”, firmato da Claudio Mattone ed Enrico Vaime, la cui prima fu vissuta nel 2002 e qui a Salerno è stato riproposto con successo in diverse stagioni sia al massimo cittadino che al Teatro Delle Arti. Se il film narra le tragiche vicende di alcuni dei giovani detenuti del riformatorio di Nisida, impegnati a realizzare un musical teatrale, sotto la guida e la supervisione dell’attore Fortunato Assante, nella persona di Leo Gullotta, sciagurato e indebitato organizzatore di eventi e spettacoli, che pur con voluta enfasi e toni grotteschi e a volte perfino retorici, dà vita ad un dramma musicale efficace ed eccessivo, decisamente prorompente, sopra le righe, con l’evidente scopo di proporre al pubblico un’opera provocatoria, anche utilizzando i più classici degli streotipi, ma allo stesso tempo, insolito e suggestivo, con passaggi brutali e violenti, alternati a momenti più poetici, forse un pò troppo frammentario, il trade union tra schermo e palcoscenico resta la musica firmata da Tullio Mattone. Nel musical si spazia tra vecchie e nuove immagini proiettate sullo sfondo da Nisida vista da Bagnoli, al Palazzo reale, ai quartieri spagnoli, il tutto giocato su di uno spazio grigio segmentato su due piani, che con movimenti di paratie si trasformavano in strada, in commissariato, in piazza, nel sottoscala ove Don Saverio, un perfetto Sal Da Vinci, agisce, quale “prete coraggio”, avviando all’arte salvifica della musica i suoi ragazzi di vita, vestiti con abiti coloratissimi a voler indicare l’energia, la speranza, la volontà di sopravvivere di “fare” e di cambiare quel mondo composto di masse silenziose, gattopardesche, indifferenti, serrate nella propria omertà, nel vicolo del quartiere comandato da Raffaele Capasso “’o russo”, amico ai tempi del carcere minorile di Saverio, il quale ha intrapreso la via del male. La storia è quella di sempre, il bene soccombe, ma il seme è lanciato: Don Saverio viene tolto di mezzo da ‘O russo, ma il testimone viene raccolto da Carmine, che non credeva nella musica e che sarà il primo a ri-alzare la testa e ad intonare “Raffaele è ‘n omme’ e ‘mmerda!”. Non si può non pensare alla figura di Raffaele Viviani e del suo teatro musicale errante, nel musical teatrale abbiamo letto lo spirito della sua musica en plain air, il timbro degli spazi aperti, lo spazio sonoro dei luoghi non ufficialmente deputati alla musica, così come la sua coralità rafforzata dai diversi sguardi dei personaggi e il suo strizzare l’occhio a qualche blu note, a quel mood “jazzy”, che sposa perfettamente la scala napoletana, come quelle di ogni minoranza, spagnoli, ebrei, argentini, creoli, zingari, che hanno sempre “cantato” la loro condizione, che con il linguaggio verbale il padrone di turno non avrebbe mai permesso loro di esprimere, e che solo attraverso la loro musica, disprezzata in mille modi, sono riusciti a spiegare e difendere la propria esistenza. Indimenticabili le scene della ricerca degli strumenti, quella corsa per Napoli, per formare un “concertino” composto da un contrabbasso, mandola, violino, bidone, grancassa, trombone in “Arrangiamoce”, e quella dell’energia dell’Urklang romantico, del suono primordiale che viene plasmato, trasformato in melodia nel finale: “Raffaele è ‘n omme ‘e ‘mmerda!”, fino alla “passerella” finale sulle note di “Gente magnifica gente!”, che incaramella al solito il dramma.