di Alfonso Malangone*
La vita nel Centro Storico, per chi ha la fortuna di abitarci, potrebbe essere fonte di grande gioia, per il quotidiano contatto con i luoghi della nostra cultura, se non fossero presenti indubbie difficoltà nella fruizione dei servizi essenziali. La mobilità, in particolare, ostacolata dalla ristrettezza degli spazi e dall’insufficiente disponibilità di aree per il parcheggio delle auto, costringe i residenti a trasformarsi in ‘vagabondi in circolarità’, alla ricerca di posti nelle aree più prossime, da via Roma al sotto-Crescent, in ‘indisciplinati’, per soste improbabili, e in ‘vessati’, per le annesse sanzioni. E’ appena il caso di ricordare che fu l’Arch. Pica Ciamarra a proporre una concreta soluzione abbinando al suo progetto di Porta Ovest, vincitore della gara indetta dal Comune, la realizzazione di accessi con ascensori e percorsi pedonali, anche mobili, collegati a tre nuove fermate della metropolitana e, cioè: “Centro Storico-Edifici Mondo”, “Porto-Olivieri” e “Porta Ovest”. Lo stravolgimento del suo elaborato ha cancellato ogni cosa, purtroppo. Così, non è negabile che le difficoltà del quartiere, ‘culla della storia e delle memorie’, siano da attribuire a una carente attenzione e al conseguente degrado di alcune specifiche aree nelle quali è mancata la diffusione di una linfa per una rinnovata vitalità culturale. Del resto, in una Città priva di Biblioteche, di un Museo Civico, di un Museo Etrusco, di luoghi per manifestazioni e convegni, l’unica Cultura espressa è quella di qualche sagra, di qualche fiera natalizia e di qualche sceneggiata estiva, neppure coordinate tra loro. A parte il calcio allo Stadio, ovviamente. E, questo, per l’assenza di una progettualità idonea a utilizzare, con funzione anche di richiamo turistico, i ‘contenitori’ che i predecessori ci hanno tramandato e che dovrebbero essere motivo di orgoglio per tutta la Comunità. La Storia, di cui dobbiamo essere fieri, iniziò nell’anno 868 con la costruzione della Chiesa di San Massimo a fianco della Reggia di Guaiferio. Proseguì, nel 1222, con la vicina edificazione del Convento di San Francesco d’Assisi dei Frati Minori, poi, nel 1332, di quello di San Pietro e San Giacomo da parte dei Padri Celestini e, infine, nel 1559, del Convento di Santa Maria della Consolazione dei Frati Cappuccini. Con il decreto di soppressione del 1808 del napoleonico Murat, le prime tre strutture furono fuse nell’unico complesso delle ex carceri maschili di Sant’Antonio, mentre la quarta divenne sede delle ex carceri femminili. Si legge che, con tali trasformazioni, furono alterate tutte le caratteristiche originarie, fino ad annullarne ogni componente religiosa o artistica. Oggi, di quegli edifici, sembra restino solo i muri perimetrali considerato che, dall’alto, sono visibili tetti e solai sfondati. Solo nel Palazzo di Guaiferio ci sarebbe qualcosa degna di attenzione, come lo scalone principale raffigurato in una foto pubblicata sul web (fonte: M. LaRocca). L’accesso è però impedito da tubolari metallici per il rischio di crolli. La storia, di cui, forse, dobbiamo vergognarci, è iniziata nel 1997, con il concorso internazionale di idee per il recupero di quelle strutture. I progetti prescelti, degli Archh. Sejima e Nishizawa, per gli spazi esterni, e di De las Casas e Monestiroli, per quelli interni, furono poi candidati nel giugno 2008 ai fondi “Piu Europa”, insieme ad altri, nell’ambito di un globale intervento di riqualificazione del Centro Storico del costo di € 48,4 milioni, di cui € 14,2 destinati alle ex carceri. Solo che, con delibera di Giunta n. 1273 del 27/11/09, quest’importo venne trasferito alla costruenda Piazza sul Mare. Così, su quegli edifici cadde l’oblio, al punto che, con successiva delibera di Giunta n. 749 del 09/09/11, il Palazzo di Guaiferio venne addirittura inserito tra gli immobili da vendere, dapprima per € 9.2 milioni (perizia tecnica del 20/10/11), poi per € 4,2 milioni (fonte: Comune). Benché, per fortuna, la Reggia sia rimasta invenduta, non può essere omessa una forte critica sulla decisione di alienare a terzi, pure a prezzi di realizzo, la sede degli ultimi Longobardi con almeno milletrecento anni di storia. Comunque, nel 2021, si è riparlato del recupero di Santa Maria della Consolazione per un progetto di ‘co-working’ e ‘co-housing’ non meglio qualificato al quale sarebbero stati assegnati fondi per € 8 milioni dal Ministero delle Infrastrutture nell’ambito del programma denominato PINQUA. Di questo, nulla si è più saputo, salvo errore. Per le ex carceri maschili di Sant’Antonio, invece, è stata di recente avviata la progettazione di un centro per lo sviluppo della ricerca nell’ambito di fondi Europei Horizon CLIC. E, qui finirebbe la storia, se le ultime notizie non fossero fuorvianti. Infatti, con delibera di Giunta n. 285 del 01/08 scorso, tutte le strutture sono state offerte in vendita alla Invimit Sgr Spa, società del Ministero delle Finanze, per realizzare nuove residenze universitarie. E’ evidente che questa soluzione sarebbe in grado di evitare ogni imbarazzo. In questo, c’è una sola certezza: dal 1997, in 26 anni, nulla è stato fatto per questi immobili. Sono stati chiamati, pomposamente, Edifici Mondo ma sarebbe più giusto definibili Edifici del Nulla. E, allora, se non siamo in grado di usarli come dovremmo, forse almeno uno si potrebbe utilizzare per un progetto fantasioso, finanche dissacrante, in applicazione della regola molto seguita ed applicata che dice: ‘dove c’è convenienza, non c’è coscienza’. E, quindi, in luogo di qualsiasi finalità culturale, in una delle ‘scatole’ vuote, quella più compromessa nelle strutture interne, a giudizio dei tecnici, si potrebbe insediare un autosilo su più piani, avente accesso da via de Renzi, rispettoso delle caratteristiche esteriori originarie dell’edificio. A parte i residenti, ai quali dovrebbero essere prioritariamente concessi gli stalli, una parte dei posti potrebbe essere destinata al vicino Conservatorio, tuttora privo di parcheggio, e ai visitatori in arrivo. Le aree al di sopra del multipiano, con affaccio sulla Città, sarebbero ideali per offrire servizi di ristoro o per manifestazioni e riunioni musicali ed artistiche. Il ‘sacrificio’ di una sola struttura consentirebbe di migliorare la vivibilità dell’area storica, di favorire l’apertura di attività economiche e di ripristinare le botteghe della tradizione a sostegno dei flussi turistici. Collateralmente, si potrebbe recuperare il progetto dell’Arch. Pica Ciamarra per agevolare una completa fruibilità dei luoghi e avviare uno stabile processo di recupero dell’intera area insediando, negli altri edifici, il Museo di Salerno, MUSA, una Biblioteca e una Scuola Superiore di Medicina o di Architettura o delle arti del sapere e del fare. La proposta potrebbe essere definita ‘indecente’ da chi abbia a cuore la Cultura. In realtà, essa mira solo ad alimentare una riflessione su un problema vitale per un’area nella quale è indispensabile offrire soluzioni proprio a supporto della Cultura. Sia consentito dire, comunque, che essa non sembra essere più indecente di altre, pure realizzate, anche al limite dell’oscenità. E che, chissà, ci potrebbe essere qualche imprenditore disposto a valutarla. Pure arricchendosi, ma facendo qualcosa di utile per l’intera Comunità.
*Ali per la Città