di Ettore Scandolera
La musica ha storicamente rappresentato un punto focale nella tradizione culturale del nostro Paese ma ancor di più quando parliamo di Opera, di genere operistico, immancabilmente l’Italia si pone in una posizione di assoluto rilievo sulla scena internazionale con un tracciato alle spalle che affonda le proprie radici dalle prime espressioni di recitar cantando seicentesco fino al Trittico di Giacomo Puccini del secolo scorso; il tutto intermezzato da grandi nomi quali: Rossini, Verdi, Bellini, Donizetti, Pergolesi (…) Va ricordato che la buona riuscita di uno spettacolo operistico (o più in generale di una composizione) non è unicamente dipeso dalla bellezza delle pagine musicali; queste ultime per poter comunicare necessitano di un interprete, di un artista, di colui che, mosso da un vento invisibile, sospira agli ascoltatori la propria profondità espressiva. Proprio sul ruolo dell’interprete, dell’interpretazione lirica del nostro tempo presentiamo, con grande onore, Cecilia Gobbi, figlia del celeberrimo baritono italiano Tito Gobbi, giunta al Conservatorio di Musica Giuseppe Martucci di Salerno per un seminario dedicato al processo di costruzione visiva dei personaggi attraverso i bozzetti del padre. Cortesia, dinamismo, amore per la musica e per la divulgazione l’hanno condotta a fondare nel 2003 l’Associazione Musicale Tito Gobbi – il cui obiettivo è mantenere viva la memoria, il ricordo di suo padre e incentivare la diffusione della conoscenza operistica ai più – e nel 2004 a dar vita al progetto didattico Magia dell’Opera, il cui fine è quello di promuovere e presentare un mondo tanto ricco e complesso come l’Opera tra i banchi dell’infanzia e dell’obbligo dando così l’opportunità di conoscere il mondo della lirica scoprendone i segreti e le meraviglie. Magia dell’Opera è un progetto che abbraccia giovanissimi studenti e docenti in un percorso di formazione e conoscenza con l’obiettivo di presentare e scoprire il mondo dell’Opera. Com’è nata questa iniziativa? Le radici di questo progetto sono nella mia infanzia. Amavo la lirica e sono cresciuta tra le pagine di Verdi, Puccini, Rossini (…); è stato un progetto quasi istintivo. Mi sono detta: se la lirica è piaciuta così tanto a me allora probabilmente con le opportune modalità questo amore si sarebbe potuto trasmettere anche ai bambini portando giovamento alla loro crescita culturale, dove questa rende persone migliori. L’Opera non rappresenta solo spettacolo, è la scuola dei sentimenti e laddove si sviluppa sensibilità verso i sentimenti si crea una società migliore. Qual è, tra le opere allestite per il progetto Magia dell’Opera, quella che più colpisce i ragazzi? Sicuramente il grande romanticismo verdiano, maturo e profondo, fa di Verdi un compositore molto complesso e difficilmente accostabile al mondo dei più piccoli. Molto apprezzato è sicuramente Gaetano Donizetti, grande produttore di opere e di pezzi che si caratterizzano per ritmo e orecchiabilità ma dotati al contempo di grande lirismo affettivo e romantico: caratteri particolarmente presenti nell’Elisir d’amore. L’obiettivo è quello di far avvicinare il bambino al mondo dell’Opera intesa non solo come spettacolo in scena ma sottolineando l’importanza di un altro elemento, quello puramente sonoro: la musica. Lei porta nel cognome la storia dell’interpretazione lirica: com’era Tito Gobbi fuori dal palcoscenico? Papà era un uomo dai mille interessi: amava dipingere, amava imparare cose nuove, scriveva, adorava la cucina. Era uno spirito creativo, curioso e dotato al contempo di grande generosità. Quando lei ha compreso l’importanza che suo padre aveva nel mondo della musica classica e della lirica? L’ho sempre saputo, vivendo quella realtà quotidianamente te ne rendi immediatamente conto; la gente mi chiedeva, da quando ero piccola, che effetto facesse essere la figlia di Tito Gobbi: sembrebbe quasi una domanda stupida. Forse non mi rendevo conto di un particolare, pensando fosse la normalità: ero a Londra per la prima di Tosca nel 1964 al Convent Garden, passeggiavo nei corridoi dei camerini e incrociai Maria Callas, quella sera nei panni di Tosca, la quale mi disse: questa sera io e tuo padre canteremo per te. Le replicai: grazie Maria! Non avevo la minima idea del fatto che quella sera, mio padre e la Callas, avrebbero scritto un pezzo di storia. Proprio di questa Tosca, ciò che mi ha colpito, oltre naturalmente alla voce, è stata l’attenzione per la gestualità scenica. In che modo suo padre studiava il gesto? Il suo obiettivo era diventare quel personaggio, calarsi completamente in quel personaggio. Diceva sempre: la mia gestualità deve partire dalla nozione del sentimento che io provo. La ricerca è attraverso l’occhio che osserva, bisogna abbinare la consapevolezza dell’occhio critico non con il proprio sentire ma con quel sentire che è unico e proprio del personaggio che si sta rappresentando C’era qualche opera a cui suo padre era particolarmente legato? Amava diverse opere, ognuna di queste suscitava in lui un fascino diverso. Tra le tante sicuramente: Tosca, Otello, Il Barbiere di Siviglia, Rigoletto. Quest’ultima era segnata da una lettura personale, soggettiva, quasi nostalgica: credo che lui avesse una sensibilità particolare per alcune opere verdiane, su un tema che è molto verdiano: il rapporto tra padre e figlia.