Cava. Verso la beatificazione di Mamma Lucia - Le Cronache Attualità
Attualità Cava dè Tirreni

Cava. Verso la beatificazione di Mamma Lucia

Cava. Verso la beatificazione di Mamma Lucia

Vito Pinto

Ci sono voluti alcuni anni, ma alla fine il Museo dedicato a Mamma Lucia a Cava de’ Tirreni è una realtà grazie alla tenacia del Presidente Felice Scermino e ad alcuni soci quali Gennaro Galdi e Franco Bruno Vitolo. E ci sono voluti alcuni anni perché la Chiesa si interessasse alle opere di Mamma Lucia, ma alla fine Mons. Orazio Soricelli, Arcivescovo di Amalfi e Cava de’ Tirreni ha dato il via alla fase diocesana per la eventuale beatificazione di Mamma Lucia. Due momenti importanti per la cittadina metelliana, che da sempre ha onorato le opere altamente umanitarie che Mamma Lucia ha operato negli anni del secondo dopoguerra, facendo diventare “suoi figli” quelli che, da vivi, erano stati considerati nemici. Un’opera compiuta in nome della più alta missione che una persona possa compiere: la maternità. E così anche quest’anno (il 28 e 29 agosto), promossa dall’Associazione “Figli di Mamma Lucia”, Cava de’ Tirreni ricorderà l’opera di quella donna che, nel silenzio e con grandi sacrifici e pericoli personali, seppe dare lustro alla cittadina metelliana e ai suoi abitanti. Due giorni durante i quali ci saranno illustri oratori, ma soprattutto ci sarà, in uno spirito di continuità, una raccolta fondi per le madri di Gaza. D’obbligo, allora, appare chiedersi quale è la differenza d’amore per il proprio figlio tra una madre occidentale, benestante, e quella ormai allo stremo di Gaza o di qualsiasi altra parte del mondo dove le sopraffazioni, le ingiustizie, le prepotenze imperano contro chi ha avuto la sfortuna di nascere in territori dove viene smarrito anche il senso di Umanità. E ci si chiede in che lingua piange un bambino occidentale o uno di territori ultimi del mondo quando ha fame o ha paura degli spari e delle bombe, o ha un qualche dolore fisico. Mamma Lucia seppe abbattere ogni barriera di odio e diversità che in quegli anni del secondo dopoguerra ancora esistevano, anche se in modo latente. Nel suo intimo sapeva che quei soldati tedeschi morti sulle nostre colline erano figli di altrettante madri inconsolate e speranzose che almeno i resti mortali venissero loro riconsegnati per una sepoltura certa nella propria terra. Era nata alla frazione di Sant’Arcangelo di Cava e battezzata come Maria Lucia Pisapia, il 18 novembre 1887. Fragile nell’aspetto fisico, ma forte nell’animo, era conosciuta da tutti, cavesi e non, come Mamma Lucia, un titolo che le aveva dato don Giuseppe Trezza, sacerdote metelliano e uomo di profonda cultura. In una intervista rilasciata nel 1979 a Raffaele Senatore, Mamma Lucia diceva: «Io n’aggi’avute ciente e ciente figlie ‘e tutte ‘e razze…Dduuie me so’ nate, ma tutte ll’ate l’aggi’adottate» (Ho avuto centinaia di figli e di tutte le razze. Due mi sono nati, ma gli altri li ho adottati). Poco più che venticinquenne, Lucia sposò Carlo Apicella da cui ebbe due figli. Solitamente vestiva di nero, con un ampio grembiule alla vita, i capelli tirati indietro e raccolti a chignon sulla nuca; con il marito attendeva alla conduzione di una drogheria posta sotto i portici cavesi. Ai tanti saluti che riceveva per la strada dalla gente più disparata, era solito rispondere: «Va c’a Maronna, bell’i mamma»; e poi aggiungeva un immancabile «pace e bene». Una vita che sembrava normale, uguale a quella di tante altre donne. Invece aveva qualcosa in più che la poneva in una luce particolare. Nel 1948, in una nota di cronaca del periodico locale “Il Castello”, fondato e diretto dall’indimenticato avv. Domenico (per tutti: Mimì) Apicella, così raccontava la sua storia di misericordia. «Una notte del primo anno dopo la fine della guerra sognai una radura con otto croci abbattute. Comparvero otto soldati e mi scongiurarono “se hai figli tu ci devi rendere alle nostre madri!”» Il giorno dopo Lucia, terziaria francescana, scrisse una lettera al Comando alleato chiedendo il permesso di trovare e sistemare i soldati caduti e perduti. La pratica però dipendeva dal Comune di Cava che subito l’autorizzò, mettendo due becchini a sua disposizione. Dopo il primo ritrovamento di alcuni soldati tedeschi in una grotta del Monte Castello a Cava, le ricerche di Mamma Lucia non si fermarono, incurante dei pericoli cui andava incontro: molti erano i campi ancora minati e molte bombe inesplose non erano state ancora trovate e neutralizzate. Lei, però, continuava, senza sosta, a recuperare quei poveri “figli di mamma”, ricomponendoli in cassette di zinco comprate con soldi suoi, e a inviarli alle famiglie in Germania: un lavoro non facile, anzi decisamente difficoltoso, che portò l’energica donna sulle colline cavesi e salernitane dove si sapeva vi fossero stati presidi di soldati tedeschi. Alla fine del 1944 Mamma Lucia aveva raccolto oltre 700 corpi con diversi documenti e segni di riconoscimento. Questa vasta opera le meritò la gratitudine del popolo tedesco, che la ricordava come Mutter der toten, (mamma dei morti) e che volle gratificarla con un’alta onorificenza consegnatale a Bonn dall’allora Cancelliere Konrad Adenauer, mentre la Repubblica Italiana le appuntava sul petto la medaglia d’oro al merito civile. Restituendo i corpi dei soldati tedeschi morti, Mamma Lucia aveva invertito la funzione dei treni, sino ad allora noti per i trasporti di ebrei nei campi di sterminio nazisti. Il treno che riportava in patria quei “figli di mamma” caduti sul suolo italiano diventava il convoglio dell’amore materno e della speranza in un futuro di pace. Cava ha onorato questa donna semplice, ma «cristiana e caritatevole», come ebbe a definirla Papa Pio XII nel 1951 quando la ricevette in udienza privata, con un busto bronzeo collocato nel corridoio degli illustri nella sede comunale e con un monumento in marmo delle Cave Buonarroti di Carrara realizzato dal compianto Ugo Marano nella piazzetta antistante la chiesa del Purgatorio, nel cuore di Borgo Scacciaventi di Cava de’ Tirreni, a pochi metri dalla chiesetta di San Giacomo dove lei raccoglieva i resti dei soldati tedeschi caduti durante la guerra e da lei scavati. Quando nel 1982 morì all’età di 95 anni, il Santuario cavese della Madonna dell’Olmo si affollò di personalità di governo, della politica, di ambasciatori e, soprattutto, di tanta gente, quella che ogni mattina la incontrava e la salutava: «Buongiorno, Mamma Lucia» ricevendo in cambio un sentito “pace e bene”. Mamma Lucia seppe pensare al “nemico” come a un figlio che andava recuperato se pur nella morte, per lenire il dolore di tante madri. Ribalzano alla mente i versi del poeta Gatto: «Il bambino festoso dove muore / nel suo grido fa sera / e nel silenzio trova bianco odore / di madre, la leggera sembianza del suo volto».