Candidare Sangiuliano alle regionali? E’ agnello sacrificale contro De Luca - Le Cronache
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Candidare Sangiuliano alle regionali? E’ agnello sacrificale contro De Luca

Candidare Sangiuliano alle regionali? E’ agnello sacrificale contro De Luca

di Alberto Cuomo
La polemica tra Togliatti e Vittorini, ormai forse dimenticata e tuttavia paradigmatica, vedeva il primo criticare la rivista “Il Politecnico” ponendo, gramscianamente, la necessità che gli intellettuali fossero organici ad un progetto politico ed il secondo sostenere la differenza tra la politica, in quanto rivolta a conseguire obiettivi per tempi brevi, ed il lavoro intellettuale che invece agisce sulla trasformazione delle coscienze per tempi lunghi. Più che dimenticata quella polemica è del tutto obsoleta dal momento non esistono più progetti politici cui essere organici né vocazioni intellettuali ad offrire orizzonti valoriali. Si direbbe che al tramonto della politica sia corrisposto un processo di progressivo venir meno dell’intellighenzia dall’impegno politico, tanto che i due fenomeni sembra camminino insieme sebbene la distinzione tra i tempi brevi della politica e quelli lunghi della ricerca intellettuale valga ancora. In questo senso personaggi come il ministro alla cultura Gennaro Sangiuliano appaiono enigmatici dal momento si muovono tra tali due sponde senza una decisa scelta. Ed enigmatica è anche la proposta del suo nome, unitamente al proprio, fatta dal viceministro Edmondo Cirielli come possibile candidato alla presidenza della nostra Regione per il centrodestra. Certo, altri politici sono stati sottratti al mondo della cultura e si ricorderanno De Nicola, Segni, Leone, Moro, Fanfani, Spadolini, sino al più vicino Giuseppe Galasso, illustre storico del Mezzogiorno e ministro alla cultura cui si deve le legge della conservazione dei beni culturali. Ma la gran parte degli intellettuali prestati in passato alla politica optavano poi per la decisa scelta di impegnarsi in tale campo, partecipando anche ai tenzoni elettorali. Che Sangiuliano sia stato sin da giovanissimo impegnato in politica è noto, ma allorchè si è misurato in un confronto elettorale il consenso raggiunto è stato deludente, essendo stato candidato alla Camera, nel collegio Chiaia-Vomero-Posillipo, alle Politiche del 2001, in quota Casa delle libertà, nel pieno del successo berlusconiano, senza essere eletto. Per il vero Cirielli ha tenuto principalmente a rimarcare la volontà di impegno del suo partito a guidare la coalizione di centrodestra nelle prossime elezioni regionali, offrendo la propria disponibilità alla candidatura alla presidenza ed il nome di Sangiuliano, pur essendo entrambi propensi a concludere il proprio mandato ministeriale. Dopo le candidature perdenti di Caldoro quale antagonista di De Luca, l’uscita di Cirielli appare del tutto opportuna ed utile a scuotere il mondo della politica campana, anche se tra i due possibili candidati appare maggiormente plausibile le figura dello stesso Cirielli, meglio avvezzo alle competizioni elettorali. Il nodo in Campania, come in Puglia e altrove, resta quello del terzo mandato dal momento, qualora De Luca trovasse un accordo con la segretaria del suo partito, Elly Schlein, per ricandidarsi, porre come suo antagonista Sangiuliano significherebbe utilizzare il ministro alla cultura come agnello sacrificale. L’attuale presidente infatti, con la gestione della sanità avocata a sé, ha avuto modo di infiltrarsi in tutte le aree della regione, tanto da poter risultare imbattibile per qualsivoglia antagonista. La possibilità di candidarsi per un terzo mandato, in realtà, gli è data maggiormente dalla destra che dalla sinistra cui appartiene. Vale a dire che, malgrado Forza Italia, per bocca di Tajani, abbia negato decisamente si possa derogare dalla legge che prevede due soli mandati, i politici più possibilisti sono quelli di destra e, primo fra tutti, Matteo Salvini. Più che porre una leadership di Fratelli d’Italia nella destra, al fine delle candidature di coalizione in Campania, forse sarebbe opportuno fosse reso esplicito il diniego a qualsivoglia terzo mandato, non solo per l’amministrazione delle Regioni, quanto anche dei Comuni e di ogni istituto pubblico, ovvero, qualora si scegliesse di rivedere la Costituzione, così come intende fare Giorgia Meloni, per lo stesso Presidente del Consiglio, sebbene eletto dal popolo. Il proprio della democrazia è infatti nell’alternanza, nel fare cioè in modo che rappresentanti e rappresentati si avvicendino. Sclerotizzare tale possibilità rendendo più ampio il numero dei mandati è antitetico al senso stesso della democrazia. Invece c’è una forte spinta dei sindaci, di destra e di sinistra, ovvero dell’Anci, di portare il loro numero di mandati da due a tre, sì da rendere possibile una uguale misura per le Regioni. Tale richiesta è stata posta al governo con l’intento di farla discutere all’interno della revisione del modo di votare i rappresentanti provinciali, già in discussione al Senato. Invero già la Regione autonoma della Sardegna ha legiferato in tal senso, incontrando la censura della Corte Costituzionale che ha rilevato la competenza esclusiva dello Stato nella materia. Ma la Suprema Corte è andata anche oltre: “la previsione di un tale limite si presenta quale punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva: sistema che può produrre effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione”. E in questo punto di vista il caso De Luca appare esemplare, almeno da sindaco, si spera non da tresidente della Campania.