
Alberto Cuomo
A mettere il naso oggi negli ambienti deluchiani, per tentare di comprendere cosa succede in vista delle elezioni regionali, si corre il rischio, per la frustrazione che si ricava, di essere presi dalla depressione. Le occasioni per incontrare gli esponenti del “sistema” sono diverse, dagli eventi della Carisal alla presentazione del libro di Claudio Signorile su Moro, sebbene tra gli spettatori vi siano persino oppositori di De Luca. In passato, ma non molto tempo fa, se ci si avvicinava a qualcuno dell’entourage deluchiano per chiedere informazioni, si assisteva ad uno spettacolo di smorfie che rivelavano boria, arroganza, soddisfazione, noncuranza, e se si otteneva risposta questa si accompagnava ad un sorrisetto di superiorità e quasi di scherno per dire: “ti rispondo ma lasciami lavorare”. Oggi invece c’è un’aria mesta che si accompagna alle bocche cucite e, si direbbe, nella paura di parlare con un giornalista, non si parla neppure con un semplice curioso. L’atmosfera è quella dei regimi o del “Terrore” successivo alla Rivoluzione francese. Tanto più che giungono altre notizie negative: il blocco da parte dei carabinieri del traffico illecito di rifiuti tra la Campania e la Puglia, le sospette infiltrazioni mafiose nel comune di Giugliano, che vede decadere l’amministrazione, esaltata meno di un anno fa dal governatore come virtuosa, capace di fare fatti e non chiacchiere, per non dire del commissariamento del comune di Capaccio e del nuovo voto per il prossimo presidente della Provincia di cui si occupa, sempre tacitamente, Piero, il cui nomignolo, “la sogliola”, per come sta acquattato, appare del tutto azzeccato. Tutto sembra fermo, almeno sino al 9 aprile, data della sentenza della corte costituzionale sul terzo mandato. Guai infatti a chiedere dei possibili candidati per le liste da presentare eventualmente alle prossime elezioni regionali. Sono tutti sul chi vive, perché sbracarsi troppo per De Luca potrebbe significare non entrare in quella del Pd qualora la corte costituzionale non desse il placet per una sua ricandidatura. Scartati gli indagati, che sono molti, le liste per De Luca allestite nelle scorse elezioni regionali sarebbero abbastanza sfrondate, specialmente dei grandi portatori di voto. Alfieri ha tentato di resistere anche agli arresti: due fritture in più e la gente dimenticherà la disavventura giudiziaria, avrà pensato. Forse un possibile candidato con voti potrebbe essere Pasquale Aliberti il quale di recente ha manifestato simpatie per De Luca, o Andrea Annunziata, che è abituato a fare i salti della quaglia tra un partito e l’altro, sebbene ora, teso ad essere riconfermato nel remunerativo ruolo di presidente dell’Autorità portuale del Tirreno, nominato dalla sinistra, deve trovare sponsor di destra per dialogare con il governo per la rinomina. Niente però è dato sapere su vecchie e nuove candidature, data la consegna del silenzio per tutti gli uomini del “sistema”. All’attendismo e al mutismo dei fedelissimi corrisponde però l’attivismo del presidente che corre dall’avellinese a Napoli, a Pompei per presentare progetti o fare promesse e ribadire che no, non vuole ricandidarsi per motivi personali, ma per il bene della Campania che, senza di lui, come dice appena trova un microfono, tornerebbe indietro. All’inizio del suo mandato De Luca andò a Pietrelcina, forse per grazia ricevuta, ma da allora sembra abbia sostituito il santo dal momento, stando alle sue descrizioni su quanto realizzato ed ai suoi superlativi sempre a portata di mano, si potrebbe dire faccia i miracoli. A volte, sarà l’età, pare non rendersi conto che le cose promesse di cui parla sono di là da venire e, pur di farsi propaganda, le dà per realizzate tanto da parlarne al presente. È accaduto qualche giorno fa presso la stazione marittima di Napoli allorchè ha presentato un video con i renders del presunto nuovo palazzo della Regione Campania progettato, con Zaha defunta, dallo studio Hadid, ovvero da Patrick Schumacher che è un signor nessuno. Due anonimi grattacieli con la base che si arrotola verso il terreno, tali da imitare i molti che già si elevano tra Dubai e Doha, definiti “il faro”. La proiezione, quasi fosse il progettista, è stata accompagnata dalla sua descrizione onde sfoggiare una conoscenza, un sapere, per i poveri agnostici e incolti napoletani, che gli desse valore anche politico. E infatti il suo era un tono tribunizio che manifestava desiderio di potenza antipartecipativa e antidemocratica. Uno dei docenti della facoltà di architettura si è lasciato andare dicendo: “altro che faro a me sembrano due brutti candelabri per camposanti”. De Luca dopo tanti anni a Napoli non deve conoscere i napoletani, i quali si adontano se uno vuole “mettersi a’ copp” tanto più se è nu’ cafon e fore. Oltretutto il progetto dovrebbe essere di competenza del Comune, non della Regione che deve avere speso denaro pubblico senza averne titolo. A nessuno dei presenti è sfuggita l’arroganza di De Luca che sembrava volesse insegnare agli altri l’architettura che non conosce. Un altro architetto napoletano presente osservando la spocchia deluchiana si è sforzato di ricordare eventuali edifici analoghi “e per questa via a un certo punto mi è venuto in mente lui, il modello assoluto di accentramento, l’insuperato Palazzo dei Soviet di Boris Iofan, sfortunato centro amministrativo e di congressi del potere supremo sovietico che fu, e che si sa non ebbe molta fortuna: i lavori furono inizialmente rallentati da problemi tecnici e da mancanza di fondi e poi interrotti a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Dopo la fine del conflitto non ricominciarono mai più”. E invece De Luca si pensa migliore di Stalin tanto da promettere di fare tutto e di più in due anni … all’anema d’à palla.