CA’ NISCIUNO E’ FESSO - Le Cronache Attualità
Attualità Campania

CA’ NISCIUNO E’ FESSO

CA’ NISCIUNO E’ FESSO

di Alberto Cuomo

Gaetano Pesce, architetto internazionale, nato a La Spezia e laureato a Venezia, è vissuto in diversi paesi e, infine, negli Usa, a New York dove è morto a 84 anni nello scorso aprile. Già da studente frequenta l’arte e gli artisti e da architetto si collega negli anni 70 ai cosiddetti “radicals”, architetti pop che ipotizzano una uscita dall’architettura convenzionale, legata ai metodi ed ai principi del razionalismo moderno, sì da invadere, con forme libere, sovente ironiche e irridenti, l’intera città. Ne è testimone un edificio per uffici di nove piani, l’organic building, progettato e costruito a Osaka, dove, dalle pareti in rosso, emergono elementi bianchi quali vasi in cui far crescere piante, arbusti, alberi, ciò molto prima dello stupido bosco verticale di Boeri che, al contrario, tende con il verde a occultare la costruzione, forse per nasconderne il carattere speculativo. In un altro edificio, il Pink Pavilion, realizzato nel 2007 a Milano, ha posto piante su tetto e pareti, essendo tutto rivestito da poliuretano rosa, così come una villa per un collezionista. E del resto la resina ha contribuito alla sua popolarità nel campo del design. Il suo primo oggetto di successo è stata una grande tovaglia i cui angoli giungevano a terra fungendo da sostegno in luogo dei piedi sì che la stessa tovaglia fosse un tavolo. La tovaglia infatti era rigida, appunto in resina, che Pesce mescolava sapientemente con molteplici colori. Di qui l’utilizzo della resina anche per oggetti d’uso e, di qui l’interesse, delle case di produzione di mobili, per il progettista, che ha disegnato sedie, divani, librerie per i più prestigiosi marchi di arredamento. E qui anche la furba ideologia di Pesce e dei “radicals” i quali, pretendendo di fare la rivoluzione con la fantasia, svendevano i loro concetti falsamente rivoluzionari al più ricco mercato dell’arredo, mentre le mostre degli oggetti prodotti, in esposizione nel mondo, a New York, al MoMa, al Metropolitan Museum, facevano da amplificatore pubblicitario per il mercato. Tra i designers radicals vicini a noi c’era Riccardo Dalisi, docente nella facoltà di architettura di Napoli, il quale, ritenendo a sua volta che la creatività infante e sottoproletaria potesse cambiare il mondo, secondo un dispositivo pop, sovrapponeva forme diverse al fine di far emergere nuovi sensi che sollecitassero la riflessione e la fantasia del pubblico. Tra le sue opere i molti Pulcinella-caffettiere che utilizzano il cilindro e il beccuccio della “napoletana” come corpo e nasone su cui applicare un cappello-coperchio conico. Pesce quindi si sarà forse ispirato ai Pulcinella di Dalisi per concepirne l’aspetto cilindrico, il cui abito rigido si fa esso stesso corpo, asessuato, senza nasone, a rivelare la sua essenza antiessenziale di mera maschera cui vanamente i colori, invece del solo bianco, tentano di dare vitalità. In realtà Pulcinella, nel bianco e nel nero, nella pancia e nella gobba, è doppio, per qualcuno maschio e femmina insieme, mentre quello che Pesce ha elevato a Piazza Municipio a Napoli, nella sua forma fallica è del tutto maschile, simbolo anzi della virilità. L’aspetto fallico è stato ulteriormente accentuato dal cappello che nell’iconografia non ha una forma fissa e che Pesce ha concepito come una “scazzetta” mobile, unico segno di una ambiguità tra sacro e profano unendo Pulcinella nella sua figura il sacerdozio quale rappresentante del popolo e la vittima sacrificale. Completano l’opera due cuori di plastica rossi trafitti, ad indicare l’amore corrisposto tra l’autore e la città, e una orchestra di sole donne che suonano la più erotica delle musiche, il Bolero di Ravel. L’ironia è evidente, rafforzata dal titolo dell’opera, “tu sì na cosa grande”. Ma il Pulcinella, proprio nei suoi sensi erotici vuole essere anche un omaggio a Napoli, che vive pubblicamente, a scena aperta, anche i suoi sentimenti più intimi, agendo in questa estroversione un’anima strafottente, chi sa, rivoluzionaria. Certo il buon Alvaro Siza, l’archistar cui si deve il progetto dell’assolata piazza Municipio, forse non si attendeva tali interpretazioni del suo spazio, l’anno scorso occupato dalla “povera” Venere degli stracci ed ora dal battilocchio di Gaetano Pesce. Ma il maestro portoghese sa che, in architettura, spesso si ricorre a simboli erotici. In particolare sono stati gli architetti espressionisti a celebrare la sessualità. L’osservatorio progettato da Erich Mendelsohn a Potsdam nel 1921 era dichiaratamente un fallo. A sua volta lo era il Glass Pavilion progettato per Deutscher Werkbund Exhibition nel 1914 da Bruno Taut cui si devono disegni di grattacieli fallici incombenti su edifici aperti dalla forma di corolle di fiori. E non ha forse la forma di una vagina lo stadio a Doha, nel Quatar, progettato da Zaha Hadid per i mondiali del 2022? Qualcuno ha messo in luce che le fenditure poste da diversi architetti nei propri edifici, come è nella Casa del Girasole di Moretti a Roma, abbiano allusioni al sesso femminile. Se così fosse non si può non annotare che nel ventre di piazza Municipio l’architetto Siza ha inserito una lunga fenditura. Gaetano Pesce che di cavità si intendeva, come è ad esempio nelle sue grotte di poliuretano, avrà certamente colto la possibile allusione e, quindi, il suo Pulcinella fallico non è che il completamento dell’opera di Siza e, per questo, non lo si dovrebbe spostare altrove, tanto più che il suo successo, secondo il gergo di coloro che se ne intendono, è un successo di critica e di pubblico.

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