Di Olga Chieffi
Tirana e dintorni terra di conquista per gli strumentisti italiani, stavolta ben rappresentati dall’orchestra di fiati de’ I Filarmonici di Bracigliano, agli ordini della bacchetta dell’oboista Luigi De Nardo. Infatti, la scorsa settimana si è tenuto il progetto formativo Armonie Trasversali – Italia e Albania finanziata dal Ministero Affari esteri e della cooperazione internazionale: un’orchestra giovanile di fiati di 54 elementi, diretta da Luigi De Nardo e Giuseppe di Maio e con ospiti il tenore Michele Maddaloni, del Teatro San Carlo di Napoli e il chitarrista Antonio Saturno, si è esibita in tre diverse città albanesi. La formazione per l’inaugurazione del Festival di Scutari, kermesse dedicata alle orchestre di fiati, ha sfilato per le suggestive strade della città. Il giorno seguente la formazione è esibita al teatro Migjeni di Scutari e, al termine della serata, gli è stato consegnato il Primo Premio d’esecuzione del Festival. Eterogeneo il programma proposto al pubblico albanese dall’orchestra di fiati salernitana, che ha fatto unito il proprio sentire musicale a quello della terra ospite proprio nell’esecuzione dei due inni quello albanese Himni i flamurit e il nostro Canto degli Italiani. Il concerto è stato inaugurato da una pagina energica e solenne che, forse, potremmo pure ad ergere a melodia rappresentativa di Bracigliano, quella Celebration Fanfare di Francesco Cardaropoli, che ha posto in bella luce che ha fatto esplodere la sezione brass, quanto la dolcezza e la morbidezza dei legni e la dinamicità delle percussioni. Si è quindi proseguito con Pacific Dreams di Jacob de Haan che descrive l’esperienza di Miguel, un compositore spagnolo il quale, stanco della vita nella terra natia, parte per un viaggio a Sydney dove scopre una stampa raffigurante le grandi onde del Pacifico, ricordando i grandi i laghi giapponesi e la via per Tahiti, evocazioni che hanno dato vita ad un contaminato viaggio musicale. Passaggio in Argentina con gli elegiaci e stranianti paradigmi del tango nuevo, il lento, dolcissimo, a tratti struggente Oblivion, che Piazzolla scrisse nel 1984, per la colonna sonora del film Enrico IV, di Marco Bellocchio. La formazione ha condotto la platea nel castello di Beauty and Beast musica firmata da Alan Menken e Ashman, con qualche tema dalla splendida colonna sonora, tra le migliori Disney, che dall’ouverture al gran finale ammalia con accordi tenebrosi e melodie in tema perfettamente rese in arrangiamento ed esecuzione. Quindi si è passati ad “An American in Paris” di George Gershwin con il suo invidiatissimo tema blues, esposto dalla tromba solista, un momento magico per liricità espressa e per l’enorme potere evocativo, sprigionato da questa sorta di incantato e sognante notturno orchestrale. E’ giunto poi, il momento del portrait dedicato a Renato Carosone, pezzi di musica ben assemblati, gocce d’America, di flamenco, di tango, di bajon e di cultura musicale napoletana, ripulita da memorie imbalsamate. Si continuerà con un arrangiamento trascinante, di “Moment for Morricone”. Tutti avranno ascoltato nella propria vita un “Tribute to Ennio Morricone”: dietro quelle colonne sonore che tutti conosciamo, fischiamo, canticchiamo, e vengono eseguite da qualsivoglia formazione, ragazzini, bande, orchestre giovanili, concerti da camera, grandi arene, c’è l’uso elegante di tecniche modernissime, come il serialismo e la musica concreta, combinate con elementi di popular music, influssi folk, canti celtici, canto gregoriano, trombe mariachi e un complesso di esecutori della taglia di un’orchestra sinfonica. Morricone ha voltato le spalle alle convenzioni hollywoodiane per il western e alla loro enfatizzazione dei profili melodici e dei caratteri armonici propri delle canzoni tradizionali e dell’inedia, e, così, ha definito un nuovo modello di riferimento per la colonna sonora di questo genere. Omaggio anche a Domenico Modugno e la sua forza innovativa e coraggiosa, la sua modernità, la generosità, il fascino travolgente e intramontabile del suo stile, il simbolo del sogno di un’Italia che stava risollevando la testa nel 1958.
Clou del programma l’esecuzione della trascrizione del concerto in Re maggiore, op. 99 di Mario Castelnuovo-Tedesco per chitarra, affidato ad Antonio Saturno, che ha schizzato un percorso tracciato da una concezione della musica quale espressione immediata, ingenua e spontanea, che può senz’altro prescindere da proposizioni teoriche e da forzate concettualizzazioni, fedele al primato della melodia e virtuosismi mai vuoti. Il tenore Michele Maddaloni ha quindi inteso lanciare il “Nessun dorma!” dalla Turandot, esaltazione del Do di petto e della corona infinita, per Calaf che domina una partitura che esce allo scoperto grondante di suoni, splendente di impasti ferrigni e luci adamantine, prima di chiudere con il nostro secondo inno d’Italia, ‘O sole mio.
Nei giorni successivi altri due concerti, il primo alla scuola “Jordan Misja” di Tirana e il secondo al teatro “A. Moisiu” di Durazzo, hanno ricevuto il plauso del pubblico albanese e l’invito ad un presto ritorno per i musici italiani.