
di Erika Noschese
La Costituzione garantisce una retribuzione che assicuri a ogni lavoratore un’esistenza libera e dignitosa. Tuttavia, molti giovani laureati in Italia lavorano gratis o per stipendi molto bassi, rimanendo economicamente dipendenti dalle famiglie anche da adulti. Un esempio sono i praticanti avvocati, che guadagnano solo 1,15 euro all’ora. Una ricerca su oltre mille praticanti ha mostrato che il 57% non riceve nessuno stipendio mensile, il 5% guadagna meno di 150 euro al mese e il 25% tra 150 e 500 euro. Solo meno del 10% supera i 500 euro al mese. Inoltre, quasi la metà dei praticanti vede poche prospettive di carriera e uno su cinque le considera completamente assenti.
Salerno, in alcuni casi, può registrare situazioni simili “ufficiosamente”: si tratta, cioè, di casi non ufficialmente denunciati da chi li subisce, per paura di ripercussioni importanti sulla propria possibilità di concludere il praticantato o, peggio ancora, di proseguire la propria carriera lavorativa. Però ci sono anche prospettive più interessanti, in positivo: ce ne ha parlato l’avvocato Ugo Bisogno, presidente dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati di Salerno.
Quali sono i motivi utilizzati per “giustificare” il poco pagare degli studi legali ai loro praticanti?
«Si tratta di un’esperienza relativa a studi legali enormi, strutturati, molto molto grandi, che contano molti praticanti, molta forza lavoro. O almeno, così posso provare a supporre che sia. Nella realtà salernitana non riscontro l’esistenza di studi così grandi e strutturati: trovo una serie di professionisti che sono più artigiani della professione. Ci sono studi cuciti sulle figure professionali, che vanno a valorizzare esperienze umane e professionali di un certo livello». Quindi a Salerno nessun praticante può dirsi sfruttato.«Non sono a conoscenza di situazioni di palese sfruttamento, e qualora ne fossi a conoscenza sarei, per il ruolo che ricopro in Aiga, portato o quantomeno spinto ad intervenire con una segnalazione al Coa. C’è un dovere deontologico per il dominus, per il professionista, oltre al rimborso delle spese anche di retribuire un adeguato compenso al praticante che è nello studio a prestare attività lavorativa».
Ci si muove a tutela dello sfruttato, ove mai ci fosse.
«Dal mio personale punto di vista, sì. Anche perché ho fortunatamente dei collaboratori e li retribuisco: so, da professionista che non ha avuto esperienza alcuna di agevolazione nell’accesso alla professione, quanta fatica costi doversi mantenere con i piccoli proventi della professione, quindi sarei portato a denunciare a maggior ragione una situazione del genere. L’Aiga, sotto questo punto di vista, è e deve essere prima sponda per i giovani professionisti. Siamo qui, la nostra attività è proprio rivolta ad aiutare chi vuole accedere alla professione». Potrebbero, però, esserci episodi di sfruttamento su professionisti non iscritti all’Aiga.
«Certo che è possibile, ma anche sotto questo punto di vista dico che queste sono problematiche sommerse. Qualora dovessero emergere, noi saremmo i primi ad intervenire perché la situazione cambi».
In uno studio grande, come quelli da lei citati prima, non sarebbe addirittura più facile ricavare i fondi necessari all’adeguata retribuzione dei praticanti? Perché ciò accade?
«Assolutamente sì, sarebbe molto più facile. Però, se vogliamo – sempre se è vero il presupposto che si tratti di studi grandi – il problema sarebbe vedere come è gestito questo studio grande. È altrettanto vero che in altri settori dell’economia, aziende grandi possono sfruttare altri dipendenti. Andrebbe verificato, caso per caso, quale o quali ragioni ci siano dietro una gestione del personale così orientata. Nel momento in cui è sommerso, non è conosciuto. C’è teoricamente un obbligo di legge alla retribuzione, ma è indubbiamente vero il discorso che ci sia uno sfruttamento dei professionisti, dato che risulta essere anomalo e patologico; quindi, dovrebbe essere oggetto di un intervento».
Denunciare eventuali ingiustizie o illeciti non potrebbe portare evidenti svantaggi a chi denuncia?
«Mi rendo conto che portare ad evidenza quella particolare situazione significherebbe smettere di lavorare. Me ne rendo conto, sarebbe la conseguenza più logica: ma esistono tanti studi legali, oggi, che dal mio personalissimo punto di vista cercano collaborazioni con costanza. Mi capitano almeno quattro o cinque volte al mese, richieste di colleghi con studi legali avviati a Salerno che mi chiedono di inserire annunci per la ricerca di collaboratori. Naturalmente retribuiti, o almeno questo è quello che mi dichiarano e, nonostante ciò, non riescono a trovarli. Nell’esperienza salernitana, o mia personale, oggi Salerno ha tanti studi con questo problema addirittura inverso. Non riescono a coprire i tasselli mancanti».