Bacchetti, il pianista che con Mozart non sa danzare - Le Cronache
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Bacchetti, il pianista che con Mozart non sa danzare

Bacchetti, il pianista che con Mozart non sa danzare

Di Mario Fresa

Caro Andrea Bacchetti, gliel’ho già scritto e glielo ripeto, visto che tiene così tanto al mio giudizio: il suo Mozart non mi garba; è grigio, sonnacchioso, pesante. Qualche giorno fa, per convincermi del contrario, lei mi ha tempestato di email e di messaggi, allegando alcune recensioni che lodavano le sue interpretazioni mozartiane. Abbiamo dialogato a lungo e, alla fine, ci siamo intesi: io la considero un pianista privo di personalità (se ne faccia una ragione) e lei ha risposto attaccandomi, col risultato di incappare in parecchi errori di estetica e di storiografia musicale (e farò a meno di mettere in evidenza la sua sintassi aggrovigliata e la sua pessima ortografia, aggravate peraltro da una spiccata predilezione per le soluzioni tachigrafiche…). Ma veniamo al punto. Dovrebbe sapere che un “da capo”, in una sonata mozartiana o haydniana, andrebbe variato con un abbellimento o con una lieve sfumatura agogica. Lei sa, o dovrebbe sapere, che il Salisburghese era un grande improvvisatore; tutti i musicisti della sua epoca intendevano la pagina scritta come un punto di partenza che permetteva (o meglio, che pretendeva!) una certa libertà nel gioco delle ornamentazioni. Lei, invece, non abbellisce un bel niente: il suo pianoforte mantiene sempre la medesima linea anodina, monocorde e monocromatica. Le ho fatto notare, ancora, che i tempi da lei scelti sono grevi e lenti e l’ho invitata ad ascoltare una Floetenuhr della fine del diciottesimo secolo: lì, anche un “andante” scorre sempre alacre e spedito. Vogliamo poi parlare della dinamica delle sue letture mozartiane? Timida fino al piattume. Se lo ricorda, per caso, il magnifico Mozart di Friedrich Gulda? Il suo pianoforte brillava, esplodeva, cantava. E aggiungeva piccole puntature, calcolate variazioni, suggestive fioriture. Faceva percepire anche un raffinatissimo “rubato” che lei invece disdegna, perché preferisce suonare in modo fisso e meccanico, siccome un piccolo soldato che marcia (ma suonare Mozart, caro Bacchetti, significa danzare e non marciare!). Infine, le ho citato l’eccellente Andreas Staier, che lei ha definito letteralmente, durante la nostra conversazione, un interprete “insopportabile”, aggiungendo perfino: “Sembra che non sappia suonare, la linea è affettata e non ha senso”. Poi, ha finalmente tradito i motivi del suo astio nei confronti di Salerno, sottolineando con una sottile vena di disprezzo che il suo concerto del 2016 (quello con le bachiane Suites inglesi e francesi da lei private dei ritornelli…) era, come ha scritto, “con free entrance”. Ora, diciamolo con chiarezza: se, per incanto, tornassero sulla terra la Landowska o Horowitz o Benedetti Michelangeli o Richter, nessun prezzo, per il pubblico, sarebbe troppo caro. Ma, abbia pazienza: per il suo Bach meccanico e “tagliato” e per il suo Mozart stanco, lutulento e melmoso una… “free entrance” basta e avanza.