di Erika Noschese
«Abbiate coraggio di uscire dall’ombra e fiducia in chi può aiutarvi in questo percorso verso la libertà e la giustizia». È l’appello che l’avvocato Lucia Perri, avvocato del foro di Avellino, lancia alle donne vittima di violenza. Il legale, nel corso della sua carriera, ha seguito molti casi di violenza domestica e i dati, oggi, sembrano vedere un aumento di questo drammatico fenomeno.
Avvocato, oggi sempre più donne decidono di non denunciare, magari per paura. Secondo lei cosa accade?
«Ha presente una ragnatela? Immagini una preda intrappolata in essa. Si muove, si agita, cerca di liberarsi, ma ogni movimento la intrappola sempre di più, fino a farla sentire completamente impotente. Per molte donne, la dinamica della violenza è proprio così. La rete di paura, minacce, manipolazione psicologica e isolamento costruita dall’aggressore rende estremamente difficile per una donna trovare la forza di denunciare. Ogni tentativo di fuga viene spesso bloccato da nuove intimidazioni, da un senso di colpa o da sentimenti di impotenza e inferiorità anche economica e lavorativa che l’aggressore instilla. È come se ogni passo verso la libertà si trasformasse in un movimento che stringe di più i fili della ragnatela».
Basandosi sulla sua esperienza, il numero di donne vittima di violenza in questo periodo è aumentato o diminuito?
«Si, decisamente aumentato, e i dati sono preoccupanti».
Secondo lei cosa spinge una donna a fare un passo indietro dopo la denuncia?
«Spesso si sentono abbandonate dal sistema, dalle istituzioni e, comunque, non ascoltate o credute.
A ciò si aggiunga la paura di ritorsioni, le pressioni esterne anche da parte della famiglia d’origine, e l’incertezza sull’esito del processo».
Quale ruolo possono giocare gli Avvocati?
«L’Avvocato, in questo contesto, deve aiutare la vittima creando un varco in quella ragnatela che possa fungere per la vittima da spiraglio o punto di fuga. Difatti, egli deve sapere combinare le competenze legale con un approccio umano ed empatico, cercando di cogliere i segnali non verbali (come il tono di voce, le espressioni non facciali, il linguaggio del corpo e dello sguardo) che rivelano emozioni come paura, vergogna, o tristezza per poter creare un ambiente che le faccia sentire al sicuro».
C’è una storia che l’ha particolarmente colpita?
«Si, una in particolare. Lei è madre di 3 figli che ha sempre subito da parte del marito alcoldipendente, violenze di carattere psicologico in maniera continuativa, anche in presenza dei minori. La donna arrivò a conciliare più lavori contemporaneamente, perché lui riteneva che lei non facesse abbastanza per i figli e che – se vie era necessità – doveva prostituirsi. Lui ovviamente non contribuiva minimamente al mantenimento della famiglia. Una sera, in particolare, lui era disteso a terra, privo di conoscenza e lei scattò una fotografia. Il giorno dopo lui, guardando la foto, negava l’evidenza, asserendo che, in realtà, stava raccogliendo i cocci di un bicchiere che era caduto, accusando lei di soffrire di allucinazioni. In quella circostanza, la mia assistita si convinse delle parole del marito al punto da dire a se stessa che probabilmente aveva ragione lui, e che a causa della stanchezza non riusciva a vedere i cocci dalla foto. In questo caso, ad esempio, è stato particolarmente complesso svolgere il mio ruolo di Avvocato, perché per la mia assistita raccontare le violenze subite significava rivivere quei momenti dolorosi, e questo la induceva ad interrompere il racconto, tralasciare parti cruciali, o comunque “paralizzarsi” nell’esposizione».
Qual è l’appello che oggi sente di lanciare alle vittime?
«Abbiate coraggio di uscire dall’ombra e fiducia in chi può aiutarvi in questo percorso verso la libertà e la giustizia».