Dieci tracce per il progetto di debutto “Veliero” per seguire l’onda giusta dell’artista, che si propone come esecutore del grande cantautorato italiano, che fa parte del suo ispirato sentire
Di Olga Chieffi
L’emozione, a cui punta dritto Marco Vecchio, è per sua natura mutevole, cangiante, disordinata. In una parola, irrazionale. Essa non può essere raccontata con la sintassi misurata di chi scrive di musica. Ci vuole uno stile diverso, altrettanto illogico ed emozionale, in modo da far deflagrare la forma narrativa deflagra saltando a piè pari la ragione e le sue dinamiche di causa-effetto, ed è tutto un susseguirsi di ellissi, rotture, stranianti ebbrezze colorate. Sono dieci le tracce affidate da Marco Vecchio al progetto Veliero, suo debutto discografico, inciso con il chitarrista Pasquale Curcio, cui hanno collaborato Viviana Vecchio, autrice del testo “Lo straniero e le camelie”, musicato da Marco Palmieri, autore delle musiche anche di “Pierrot” e “Gli occhi dei bambini” su testo di Marco Vecchio, unitamente a Deborah Napolitano voce femminile che affianca Marco in “Vasame” di Enzo Gragnaniello. In questo suo particolare autoritratto musicale Marco preme fino in fondo sull’acceleratore di una ritrovata Nouvelle Vague, portandola a un esito estremo: quel contrasto fra cuore e cervello, l’eterna battaglia fra Emozione e Ragione, risulta in fin dei conti insanabile. L’unica cosa che resta da fare è dipingersi la faccia di blu e “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Un ruolo fondamentale nel progetto è assunto dal colore, che, similmente all’emozione, esplode in maniera irresistibile in queste dieci tracce. “Veliero” è un’opera solare come il Mediterraneo a cui è ispirata, un tripudio di colori saturi, vivaci, luminosi, che la mente e gli occhi ricordano indelebilmente. Il duo disegna, con il verso e la musica, mappe musicali che produrranno forme d’interferenza in grado di ridare voce a storie nascoste, rendendole così sonore e percepibili. L’importanza dei “suoni”, tutti, non sta unicamente nella forza narrativa, ma anche nella capacità di sollevare questioni critiche. I suoni ci attirano verso ciò che sopravvive e persiste come risorsa culturale e storica, capace di resistere, turbare, interrogare e scardinare la presunta unità del presente. Questo il merito di Marco, Pasquale e Deborah, di disegnare nuove cartografie sonore, una questione di avvenire, la domanda dell’avvenire stesso, la domanda di una risposta, di una promessa e di una responsabilità per il domani, per dirla con Derrida. Come il mare, che un tempo ha agevolato il passaggio della maggior parte delle culture, i processi sonori e poetici propongono un’economia affettiva, in cui ascoltiamo, l’eco del Mediterraneo di Mango, l’essenza di Anna Oxa, Mina, Pino Daniele, Lucio Dalla, destinata a scardinare le configurazioni fisse di tempo, spazio e appartenenza, in una continua ricerca. Tradizioni antiche e sonorità inusitate arriveranno filtrate da una sensibilità leggiadra, capace di evocare nel corso della stessa canzone il fumo e il mistero della foresta amazzonica, il volo metafisico, l’umorismo sperimentale e le più genuine risonanze etniche e latine, come in Tuyo di Rodrigo Amarante, mentre i brani originali raccolgono buona parte delle suggestioni marine, le sfumature, i cambi di passo, le intersezioni fra sentimento, memoria, dolore e sorriso tipici dell’arte della famiglia Vecchio. Un colore sonoro a volte surreale, immateriale, onirico, dalla tessitura figlia di un arabesco danzante dalla filigrana sottile e agrodolce, che sa concedersi ad un intimismo sobrio e mai svenevole, attraversa tutte le tracce. D’altra parte il nostro mare tocca le sponde di tre continenti, e il cd si chiude con “La casa in riva al mare” di Lucio Dalla. Grazie alla sensualità dei suoni, alla memoria che i nostri musici custodiscono e alle appartenenze che mettono in gioco, ci rendiamo conto che l’importante non è tanto avere una casa nel mondo, bensì creare un mondo da attraversare e in cui sentirsi a casa.