Andrea Pellegrino
«Dove sono le esigenze cautelari per Mimmo Lucano?». Sulla vicenda giudiziaria di Riace è Claudio Tringali, ex presidente della Corte d’Appello di Salerno ed attuale presidente della fondazione “Menna”, a fare un’analisi. Un parere tecnico sul caso giudiziario e mediatico che accende il dibattito politico degli ultimi giorni. «Penso che i giudici, ivi compreso i pubblici ministeri, non debbano intervenire sui processi in corso, specie se lo stanno trattando loro. Questa è una regola imposta dalla deontologia professionale oltre che dettata da un preciso obbligo sanzionato disciplinarmente, com’è noto», scrive Tringali. A seguire l’inchiesta di Riace è un pm salernitano. Si tratta di Luigi D’Ales- sio, procuratore a Locri, un tempo alla Procura di Salerno. È in corsa, tra l’altro, insieme a Leonida Primicerio, per la successione a Corrado Lembo, recentemente andato in pensione. «Non ritengo corretto intervenire sul merito del processo e delle contestazioni su cui decideranno i giudici e non i pubblici ministeri – spiega Tringali – Ciò che mi colpisce in questa vicenda, e che mi sono chiesto fin dal primo momento, è il profilo delle esigenze cautelari che solo giustificano un p r o v v e d i – mento restrittivo. Mi chiedo dove possano ravvisarsi in questo caso le esigenze cautelari poste alla base del provvedimento: pe- ricolo di inquinamento delle prove? La prova è in parte documentale e in parte costituita da intercettazioni. Pericolo di fuga? Non credo se ne parli nel provvedimento e credo sia poco verosimile che un sindaco come Lucano (che era al corrente delle indagini a suo carico) abbia posto in essere condotte dalle quali dedursi quel concreto pericolo di fuga richiesto dalla norma processuale. Pericolo di reiterazione del reato? Per questo sarebbe bastato un provvedimento di sospensione dalle funzioni. Allora dove sono quelle esigenze cautelari di tale gravità da imporre uno dei più rigorosi provvedimenti cautelari previsti dalla legge? Sinceramente penso che ancora una volta si utilizzi lo strumento della custodia cautelare che anticipa una pena che dovrebbe scaturire soltanto da una pronunzia di un giudice. Questa è una vecchia cattiva abitudine tutta italiana: si arresta in fase cautelare quando non c’è ancora una sentenza mentre al contrario vi è poca certezza di una pena scaturente da una sentenza irrevocabile. È questo il vero punto della vicenda processuale, dal punto di vista giudiziario». Un esempio, dice ancora l’ex magistrato che ieri pomeriggio ha partecipato ad un appuntamento della Fondazione Menna: «Il caso De Luca a Salerno. Per lui erano state chieste esigenze cautelari che sono state respinte e successivamente è stato assolto con formula piena». Dal punto di vista politico – dice ancora Tringali – è tutt’altra storia. Di sicuro, prosegue: «Riace è un esempio di integrazione. Il sindaco se ha sbagliato dovrà essere condannato da un giudice, non arrestato ora e poi si vedrà se ci sarà il processo. Non va bene per lui e per gli altri casi».