Questa mattina alle ore 11, verrà inaugurata nella sala Metope del Museo Archeologico di Paestum, la sua personale “Il ritratto non vedente”
Di OLGA CHIEFFI
“Decostruire” la vista – il senso tradizionalmente privilegiato della theoria occidentale – significa innanzitutto pensarla insieme al suo rovescio, la cecità appunto. Che cosa significa “vedere” quando la visione si scopre coinvolta, co-implicata, addirittura costituita nel suo intimo da un fattore, da un aspetto di cecità? Si vede davvero, quando si vede? E che cosa si vede, quando si crede di vedere? C’è forse un aspetto anche di fede, di fiducia, di abbandono quando si cerca o si pensa di vedere? La vista e la molteplicità dei sensi, lo sguardo e il contatto, la prossimità e la distanza sono solo alcune delle figure che costellano la riflessione di Jacques Derrida sul tema del visibile e dello sguardo. Sguardo, occhio, vista, visione: questi termini dicono e non dicono lo stesso, si incontrano e confliggono. Parte da Paestum la mostra itinerante “Il ritratto non vedente” di Armando Cerzosimo, dodici scatti, una galleria-installazione in bianco e nero che rovescia luoghi comuni e pregiudizi. Il fotografo salernitano ha, infatti, messo in posa, persone cieche dalla nascita o che hanno perso successivamente la vista, restituendo ai nostri sguardi “ciechi” l’orgoglio e la dignità di chi guarda la vita “Da un altro punto di vista”, come titola il testo in catalogo della giornalista e critica d’arte Erminia Pellecchia. Questo particolare progetto, accolto con entusiasmo dalla direzione del Parco archeologico di Paestum, è nata dalla collaborazione tra l’autore, da sempre attento ai temi sociali, e l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, sezione di Salerno, presieduta da Francesco Cafaro, unitamente ai comuni di Capaccio-Paestum e Bellizzi, la Fondazione Paestum e l’associazione Posidonia. La mostra, allestita fino al 13 novembre nella sala Metope del Museo archeologico nazionale di Paestum, sarà inaugurata questa mattina alle ore 11, in occasione della Giornata nazionale della Famiglia al Museo. “Lo dovevo – scrive Cerzosimo – Una parte della mia vita dedicata alla fotografia ma mi mancava ancora qualcosa. Lo dovevo. Poter fare in modo che al mio continuo angolare, lo sguardo si fermasse negli occhi di chi non può esprimere giudizio se non dalle sensazioni o vibrazioni che partono dalla mia coscienza, attraversano la mia voce e passano attraverso la mia macchina (oscura) fotografica…” Vedere non è solo vedere, ogni sguardo necessita di un occultamento, di un velo che in parte lo ostruisce. Ogni luce, che veicola la vista, partecipa di notte, di ombra, e non soltanto come il suo risvolto complementare, ma come intimo sdoppiamento che impedisce di fissare e di fissarsi su di un’esperienza che sia pura, primigenia, incondizionate. L’occhio che non vede che si scopre velato, offuscato, impedito, diviene segno di uno spazio mediano, di un “frammezzo”, tra presenza ed assenza, tra pienezza e mancanza, unico luogo in cui sembra aprirsi la possibilità di un incontro autentico con l’altro, per vedere o intravvedere il mondo e partecipare ad esso, alla sua vita, nella difficile condizione di assenza-e-presenza di ciò che si ama. Decostruire la nozione di visione, di sguardo, significa anche questo, esporre, nel vedere e nel visibile, il dissidio interno che li abita e li anima; mostrare come essi siano pervasi di differenza e di differenze, non sono mai elementi o atti pacificati, strutturati, consolidati una volta per tutte, bensì sono travagliati da un incessante movimento di differimento interno, di sé con sé. Il visibile è sempre anche invisibile, vedere è sempre anche essere ciechi; ed è anche in parte toccare, in parte udire, proiettare e ricevere; consiste nel definire e determinare, tanto quanto nello scontornare, nello sfumare, nello sfuocare.