di Salvatore Memoli
Se non siete stati in Palestina, non avete visitato i luoghi, non vi hanno fermato alle tante barriere piene di filo spinato ed uomini armati dove sostano autoveicoli e persone, prima di transitare in altri territori, non potete capire. Se non avete assistito alle lunghe file di persone, uomini e donne, che attraversano le frontiere e che sopportano le procedure di controllo che fanno perdere molto tempo, prima di consentire alle persone di raggiungere i posti di lavoro, non potere capire. Se non si fa esperienza delle mortificazioni imposte ad una popolazione quotidianamente e, almeno, per due volte al giorno, andata e ritorno dai luoghi di lavoro, non si può comprendere quanto sia difficile la vita per i Palestinesi. È un’apartheid moderna contro una popolazione, camuffata da regole civili di controlli formali, una crudeltà che fa perdere la dignità e può scatenare reazioni incontrollate. La guerra tra Israele e Gaza tocca la vicenda di tutto il popolo Palestinese, dei suoi territori occupati, delle brutali repressioni. L’occidente con il suo armamento storico, culturale, religioso, si compatta sulla difesa di Israele, baluardo di civiltà occidentale e paventa una necessità di contenere l’avanzata di una cultura islamica che potrebbe riminacciare i Paesi cristiani, con pretese religiose che nascondono progetti politici, ambiziosi quanto pericolosi. Se bastasse questa motivazione che riporta a vecchi equilibri militari e politici non sarebbero sufficienti le motivazioni ideali pro-Israele. La Palestina è il culto e la custodia del cristianesimo e del cattolicesimo. I simboli sono tanti che spostano milioni di fedeli ogni anno in visita dei siti religiosi che richiamano la storia di Gesù. Tutelare la Palestina è un punto oltre le motivazioni ideologiche e religiose. Le discriminazioni che subiscono queste popolazioni non trovano giustificazioni plausibili, come le tante aggressioni di Israele ai quartieri residenziali di Palestinesi fino alle porte di Gerusalemme, per espandere gli insediamenti illegali dei coloni ebrei. Israele conosce un solo linguaggio: quello violento e militare, quello repressivo, a Gerusalemme, a Gaza, in tutte le città palestinesi. Quello che si vedeva in Palestina prima della guerra attuale erano forme di oppressione che umiliano la dignità di un popolo e mostrano il predominio di Israele sulla Palestina. Come si può costruire la pace in queste condizioni? La strategia di Israele è far sentire l”apartheid! La ribellione dei Palestinesi è costruita dalla stessa violenza degli ebrei. Ed è così che anche durante questa guerra, Israele registra una disapprovazione internazionale crescente contre se stessa, le sue ragioni politiche, le sue aspettative. L’occidente è contro l’occidente che sostiene Israele, in una misura straboccante che isola sempre più Israele, l’America e chiunque sostenga le sue posizioni. In questo rinnovato quadro di ripensamento politico le decisioni di Spagna, Irlanda e Norvegia si uniscono ad un numero crescente di Stati che riconoscono la Palestina. Riconoscere la Palestina significa prendere atto della sua realtà politica, instaurare rapporti diplomatici, sostenere la sua causa di libertà. Più di tutto ed oltre le ragioni storico-politiche quello che conta oggi è la tutela dei diritti del popolo palestinese, un bene importante che non può essere più racchiuso e definito con la violenza di risposta alle sopraffazioni, all’oltraggio e all’apartheid che Israele utilizza nei suoi confronti, ogni giorno. L’Italia è lontana da queste visioni politiche ma non è certo che le sue posizioni politiche resteranno tali nel futuro.