Di Antonio Florio
“…..Alla fine, e per buona fortuna, capitò un carabiniere, il quale, sentendo tutto quello schiamazzo, e credendo si trattasse di un puledro che avesse levata la mano al padrone, si piantò coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie.” E’ il terzo capitolo del Pinocchio di Carlo Collodi, attraverso il quale un po’ tutti hanno cominciato a conoscere gli amici Carabinieri, e che io incontrai per la prima volta da piccolissimo proprio alla processione di San Matteo. Mia madre, Giuseppina Fiorillo, non ha mai mancato di partecipare a nessuna processione patronale e ha sempre portato con sé tutti i suoi figli. Quell’anno particolare eravamo in quattro io e i miei tre fratelli più piccoli, Silvano, Ciro e Lucio. Mia madre portava il più piccolo Lucio in carrozzino, uno sulla pedanetta delle ruote e due per mano. Io ero il più grande e, naturalmente, il più irrequieto e, attirato dalle luci, dalla gente, dalle bancarelle, dai venditori di palloncini (la festa di oltre settant’anni fa era una festa vera, fatta di suoni, colori, profumi, afrori, stanchezza!), volevo divincolarmi dalla mano di mia madre. Lei pensò bene di chiamare i Carabinieri, che all’epoca giravano in alta uniforme, col famoso pennacchio rosso e blu e di affidarsi a loro per farmi portare nelle patrie galere, in caso di ulteriori segni di irrequietezza e insofferenza. Ebbi, così, timore e non lasciai più la mano di mia madre. In seguito, ho partecipato alla festa di San Matteo da musicista, da direttore musicale e, quando mio padre Franco, ebbe l’incarico da Alfonso Menna, di rifondare la banda dell’Istituto Umberto I, a cavaliere degli anni ’70 e ’80, ho suonato anche in processione. Si partì dall’istituto suonando, come ai tempi d’oro della formazione dell’ Umberto I, per andare in duomo e mio padre volle far tappa dinanzi alle cancellate delle carceri di Sant’Antonio, che davano sulla strada, per donare un segno di festa anche a quanti non avrebbero mai potuto partecipare ai festeggiamenti e anche perché diversi carcerati erano passati dal cosiddetto “serraglio”, in cui lui stesso era stato ospite, istitutore e Maestro. Fu una processione lunghissima quella, con un repertorio marciabile scelto da mio padre, quasi per intero composto dal Maestro Gaetano Savo, da “Creola” a “Rinascita” a “Vessillo”, provato per giorni, non solo musicalmente, ma anche nel passo, che ci aiutò a superare la fatica e a sostenere lo sforzo sovrumano dei portatori. Poi, la corsa giù dal duomo per partecipare alla festa musicale in piazza Amendola e alla prima “salve”, intorno alla mezzanotte tutti felicemente distrutti a Lungomare per ammirare i fuochi pirotecnici.