Antonacchio: «Più umanità per i pazienti fragili, basta pensare solo ai tetti di spesa» - Le Cronache
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Antonacchio: «Più umanità per i pazienti fragili, basta pensare solo ai tetti di spesa»

Antonacchio: «Più umanità per i pazienti fragili, basta pensare solo ai tetti di spesa»

«Quando si sentono le storie di pazienti che non possono continuare le loro terapie, ogni storia deve scuoterci». Pietro Antonacchio, Capo Dipartimento Sanità Pubblica, Privata e Terzo Settore della Cisl Fp, è tra i promotori della proposta di legge di iniziativa popolare per persone con gravi patologie disabilitanti.

In Campania, la delibera regionale n.164/22 prevede uno stop alle cure per chi soffre di malattie psichiche e sensoriali dopo 180 giorni, a prescindere dallo stato di salute del malato e dalle prescrizioni mediche. Un vulnus giuridico, è stato accertato, che – dopo la raccolta di oltre 12mila firme da parte del Comitato Diritto alla Cura – si appresta a essere risolto dalla Regione. In attesa della soluzione definitiva al problema, la delibera è stata sospesa ma i problemi per gli utenti non sono del tutto finiti.


«Assistiamo a una richiesta di fabbisogno assistenziale superiore di gran lunga rispetto a quello che, invece, viene sovvenzionato dalla Regione – spiega Antonacchio – Si rende necessario rimodulare la legislazione regionale rispetto alla garanzia all’assistenza, specialmente dei fragili. Ci sono degli elementi che contrastano con il diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione».


Spieghiamo meglio cosa accade.


C’è una richiesta di assistenza superiore di gran lunga rispetto a quello che, invece, viene sovvenzionato dalla Regione. È chiaro che se il bisogno è mille e la Campania finanzia cinquecento, altre cinquecento persone restano senza assistenza. Credo che ogni ente morale dovrebbe rendersi conto della situazione e tenere presente il problema quando fa la valutazione di risorse a proposito di particolari prestazioni assistenziali. Attualmente, i centri riabilitativi si accreditano rispetto al budget assegnato dalla Regione, non in base alle reali necessità dei pazienti in cura. Chi ci governa dovrebbe avere l’obbligo di disegnare il fabbisogno esistente e di distribuire le risorse in base alle richieste. In sintesi si dovrebbe dire: devo salvaguardare il bisogno assistenziale delle persone e devo finanziare gli interventi. Invece sa cosa accade? Che il finanziamento non corrisponde al bisogno assistenziale e si verificano le sospensioni. In certi casi, c’è una reale impossibilità a erogare le prestazioni: vengono autorizzate ma i centri non possono recepirle perché hanno superato il budget. A quel punto si dovrebbe distribuire le prestazioni sul territorio, per vedere dove sono rimaste risorse; ma una persona con particolari problemi non può penare in questo modo.


Anche perché l’eventuale “spostamento” non avviene solo nel giro di pochi chilometri…


Non è solo questo: tra professionista e paziente si crea un regime tale per cui una situazione del genere, con un cambio di operatore, il paziente ci rimane molto male e non reagisce bene psicologicamente, col rischio di perdere tutto quello che si è guadagnato. Il discorso è semplice: certe situazioni non possono essere ridotte solo a “prestazioni” e “risorse”; devono avere “valori”. Parliamo di percorsi con professionisti validi, che hanno un rapporto empatico con il paziente. Può sembrare strano a qualcuno, ma le motivazioni psicologiche sono fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi: un paziente che deve spostarsi può sentirsi abbandonato.


Le risorse scarse potrebbero costituire un problema lungo la strada per l’approvazione della legge popolare?


C’è un progetto di legge in corso da approvare: la mia paura è la Regione che si barrica dietro i piani di rientro e di contenimento di spesa; è lo stesse ente che deve approvare la legge. Io sono prudente: non dico gatto se non ce l’ho nel sacco.


Ma di quante risorse ci sarebbe bisogno ancora?


Su due piedi non saprei quantificarlo perché è un problema che riguarda tutta la Campania e io specificamente mi riferisco a Salerno ma forse, con una stima approssimativa, solo nel Salernitano sarebbero necessari 10/15 milioni. Però, sia chiaro, è un numero orientativo: non so quanto reale. Il punto è che il problema della spesa è complessivo: riguarda diversi settori in tutta la regione.


Per esempio?


C’è un’assenza di integrazione tra pubblico e privato, una filiera che non si incardina e non viaggia in parallelo, i laboratori di analisi in cui – appena arrivi al sesto/settimo giorno del mese – devi pagare perché sono stati raggiunti i tetti di spesa… E tutto questo passa necessariamente per una riorganizzazione della filiera dell’area territoriale e distrettuale della sanità. Non abbiamo case di comunità, non abbiamo ospedali di comunità che potrebbero essere il filtro che evita di ingolfare i pronto soccorso con codici bianchi e verdi… Con un incremento di risorse si potrebbe ovviare a tutti questi problemi: va rafforzata, se non addirittura creata, una rete territoriale.


Sanità territoriale: termine molto in voga negli anni del Covid…


Ce ne siamo accorti durante l’emergenza e ce ne siamo anche dimenticati. Guardate ai distretti sanitari: sono cimiteri degli elefanti; strutture totalmente inutili in cui un disabile o un anziano che deve essere preso in carico passa giornate intere per scartoffie burocratiche, con code incredibili. Siamo ridotti a questo, viviamo un inesorabile declino.


Tornando alla questione del diritto alla cura, la legge che tipo di risvolti potrebbe avere anche dal punto di vista occupazionale nel mondo della sanità?


E qui apriamo un altro discorso: ci sono migliaia e migliaia di lavoratori del settore che vivono con pesanti incertezze sui contratti e che sono mortificati quotidianamente dal dumping contrattuale. Per ogni patologia si dovrebbe pensare al personale interessato, pianificare gli interventi a medio e lungo termine e poi quantificare rispetto alla definizione del budget. Oggi, spesso, ci sono strutture con venti posti e un solo operatore socio-sanitario che opera di notte: c’è un’idea di assistenza molto debole; e invece, in diversi settori, specie quando si parla di “residenziale”, il socio-sanitario dovrebbe avere un valore aggiunto.


Ma quante sono le persone penalizzate dalla delibera incriminata in Campania?


Nel Salernitano ci sono migliaia e migliaia di persone. Non pensate solo al portatore di handicap; pensate anche alle famiglie. E ricordiamo anche un’altra cosa: la disabilità non riguarda solo l’età evolutiva; può intervenire anche in un adulto e in una persona sana. Io penso che la Regione non abbia ancora fatto neanche uno studio del genere, una mappa del problema, e che agisca senza avere un riscontro oggettivo del bisogno che c’è sui territori.


Una situazione incredibile che ha spinto lei e il sindacato a sposare la causa del Comitato per il Diritto alla cura…


Abbiamo sposato subito la causa: sarebbe auspicabile che le leggi tentassero di migliorare la qualità della vita delle persone, nel pieno rispetto dei principi costituzionali. E speriamo che questa proposta di legge possa migliorare la qualità della vita dei disabili in Campania.


C’è qualche storia particolare che merita di essere raccontata?


Ne ho lette e sentite numerose in diversi anni. Ogni storia deve essere verificata, ma io penso che quando si assiste a scene di pazienti abbandonati in barella o all’impossibilità di continuare le cure, qualcosa va fatto. So per certo che le dotazioni organiche non sono congrue alle necessità e a poter garantire una continuità ad alti livelli; ma mi rendo anche conto che c’è grande dedizione al lavoro degli operatori: chi ama il suo lavoro ama anche i risultati del suo lavoro.