Inauguriamo oggi con la storica ditta la rubrica dedicata ai figli d’arte. In questi giorni extra-ordinari ci si ritrova a “ricordare” quanti ci hanno educato e spinto ad occupare un posto “fattivo” nella società
Di Anny Pellecchia
In tempi di quarantena, non potendosi più incontrare, andare per arte, rifiorisce il racconto. Olga Chieffi, come in un giardino boccaccesco virtuale, ci invita a narrarci, a raccontare storie che mai avremmo avuto tempo di scrivere nel nostro mondo fatto di corse e appuntamenti lavorativi. Oggi, a cinquant’anni, mi volto indietro, sorrido, io figlia d’arte, figlia di un uomo che scelse come “città del cuore” Salerno, lui che aveva nelle mani l’arte dei fiori (appresa a sua volta dal padre ) e il fuoco del Vesuvio in corpo, decise di iniziare a 19 anni la sua attività di fiorista. Essere figlia d’arte per me, significa aver dedicato tutta la mia vita a mio padre o meglio alla passione di mio padre. I figli d’arte iniziano sin da piccoli ad imparare il mestiere, semplicemente giocando. Ho giocato con le piante come se fossero giocattoli. Uno dei miei primi ricordi sono le mani di mio padre che staccava da un’ Agave americana variegata, i suoi piccoli. La mia mansione era di piantarli in vasi di terracotta. Capivo che erano bambini e quella era la mamma, mio padre me li stava affidando, se ben piantati saremmo cresciuti insieme, oppure tagliare le talee di Stenothaphrum (prato gramigna) e farne dei mazzetti da 30, per poi riporli in una cassetta pronti per la creazione di nuovi giardini. La natura mi circondava in ogni cosa, i cani del giardino che erano sempre accucciati vicino a me, le farfalle colorate danzavano insieme volteggiando nel cielo azzurro e, ogni volta che passava un rumoroso calabrone ronzante, che poi immancabilmente si tuffava in un fiore di acanto, mio padre ridendo mi diceva “Arrivano visite!”. Il suo entusiasmo per le piante era contagioso, ogni qual volta arrivava un esemplare era immancabile la foto. Ho più foto con piante che con le persone. Le piante erano i miei amici, con alcune saremmo cresciute insieme, altre erano di passaggio, altre sono morte e sono rimaste nel mio cuore, come l’Acero rosso giapponese a cui mio padre teneva tanto…quando morì, mio padre ne soffrì tanto e quella sofferenza diventò anche la mia. Ci furono piante adottate, come le tante Dracaene (Tronchetto della felicità) abbandonate sotto i portoni durante un delirio collettivo, causa una calunnia ignobile (si credeva che ospitasse un ragno velenoso) e altre salvate come una Cycas carbonizzata buttata nella spazzatura, o un Cereus sfregiato, torturato, anch’esso nella spazzatura, oggi vivono felici in giardino. Crescendo, le raccomandazioni non erano quelle classiche, tipo “Non fare tardi”, ma” Mi raccomando innaffia le lantane, controlla i limoni, spazza la serra”.Tutto questo mondo di immersione totale nella natura si affiancava contemporaneamente a quello cittadino del negozio. Non avevo la chiacchiera, il savoir faire di mio padre. Era galante con le signore le omaggiava sempre di un fiore, simpatico con i mariti. Presto tutti in città lo chiamarono, amichevolmente, semplicemente Ugo. Ricordo quel saluto a mezzo inchino così ossequioso e lui aggiungeva guardandomi divertito “Mio padre mi dava sempre uno scappellotto se non salutavo così i clienti”. Da lui ho ereditato la disciplina al lavoro. Bhè, sicuramente come tutti gli umani, Ugo aveva anche qualche difetto. Quelli che mi scuotevano erano due. Il primo era l’ossessione di dovermi alzare presto, mi faceva vergognare se osavo rimanere più del dovuto sotto le coperte. Così, prima che ne diventasse una cosa da spezzare la nostra intesa padre-figlia, comprai un libro dove si parlava della gioventù nel tempo del fascismo, ovvero gli anni in cui mio padre crebbe. Negazione ad ogni forma d’ozio ed esaltazione della velocità questo il credo educativo. In effetti mio padre non camminava, correva. Pur essendo mio nonno antifascista, dovette adattarsi al regime per continuare a vivere, essendo vedovo con 7 figli. Fu una lettura rivelatrice, la velocità del fare in mio padre era quasi una velocità futurista- Tagliava foglie enormi di Palma, fiori, erbe qualsiasi, trasformandole in composizioni uniche. Ancora oggi molti clienti mi dicono che guardarlo creare era fantastico. Riusciva a creare arte con qualsiasi elemento naturale in poco tempo, quasi una magia. Un altro difetto che mi faceva sprofondare dall’ansia erano le sue urla quando qualche cliente si voleva intromettere durante le sue creazioni, le urla arrivavano in cielo. Potete immaginare il mio imbarazzo, poi, però, con mio stupore alcuni ritornavano come nulla fosse successo. Mio padre conosceva profondamente il suo lavoro e le piante e i fiori erano il suo DNA. Un artista o chiunque si ritenga tale, non vuole che la sua opera venga cambiata. Le persone che si recano da un fiorista professionista, devono capire che stanno entrando in una bottega d’arte. Chi vuole spendere poco ha molte opportunità oggi, mercatini rionali, supermercati, centri commerciali. I costi di un negozio di fiori e i sacrifici sono tantissimi. I fiori sono esseri delicati che hanno bisogno di grande manutenzione, assemblare fiori foglie è un arte acquisita con studio e ricerca continua. Trovo patetico e di cattivo gusto la richiesta dello sconto da parte del cliente, il quale non capisce o non vuole capire che la piccola conquista di pochi euro è la chiusura delle nostre botteghe. Il mio impegno in questa attività non è solo continuare la tradizione che mi è stata lasciata, ma anche accontentare il cliente creando qualcosa che si adatti perfettamente al suo carattere, all’occasione, alla speranza che affida ai miei fiori per conquistare l’amata. Cerco di spiegare al cliente cosa sta comprando, la provenienza del fiore, la storia di ognuno di essi, o semplicemente allargare l’orizzonte visivo. Questo significa fargli osservare bene ogni fiore, la forma, il colore, il movimento di uno stelo. Perché ogni fiore come le persone ha un carattere. Ogni fiore ha una storia ed è per questo che collaboro con una rivista del settore florovivaistico nazionale “Il Floricultore”. Frequentando serre, mercati generali, fino al negozio riesco ad avere una visione completa del mondo fiori. Il mio impegno non è solo rendere gradevole gli ambienti del prossimo attraverso i miei lavori floreali, ma far capire che il fiore è un piacere, non si sta a contare i giorni di quanto dura, ma si gusta come un bicchiere di vino, o ascoltare una sinfonia o vedere un amico, bisogna entrare nell’ottica che amare i fiori è semplicemente uno stile di vita.