Il soprano in duo con il pianista Vincenzo Zoppi ha proposto, nell’arena del Teatro dei Barbuti, un percorso nella canzone napoletana, “schizzato” da Enrico Siniscalchi, sulla traccia delle “periodiche”, i ricevimenti spettacolo che si tenevano nei salotti partenopei
Di Olga Chieffi
E’ da sempre inteso come un salotto all’aperto lo spazio del Teatro dei Barbuti, creato dall’indimenticato Peppe Natella, e il ritrovarsi lì con vecchi amici artisti, musicisti, il pubblico che sempre onora questo spazio, fa parte, oramai dell’ ozio creativo estivo di quel contatto con il sublime, attraverso diverse arti, suoni, immagini, parole, della nostra città. Qui, qualche giorno fa, ci hanno accolto Enrico Siniscalchi, il quale assieme al soprano Annalisa D’Agosto e al pianista Vincenzo Zoppi, ci ha fatto rivivere l’atmosfera delle serate musicali, nei salotti aristocratici e della borghesia nascente della Napoli del periodo d’oro della tradizione musicale partenopea e della sua canzone, attraverso la necessaria avvolgente affabulazione, e quell’ immenso amore nel dire le cose, nel dire il silenzio presente nei suoni delle cose, nel riaccendere la meraviglia. Meraviglia che non è solo incanto o superamento estatico della ragione, ma è e continua ad essere riflessione: la riflessione del cogito che prova insieme l’angoscia del silenzio – ossia della morte – e la gioia della parola nel suono delle cose. La canzone colta dei Passatempi musicali di Guglielmo Cottreau, i legami con l’opera canzoni celeberrime, ma come mai si erano ascoltate, frutto di una recherche, che da parte di Enrico Siniscalchi, non poco deve anche al Master in Musica Napoletana del nostro Conservatorio, che vanta un luminare in questo campo quale è Pasquale Scialò da “Te voglio bene assaie”, a “Santa Lucia”, passando da “Fenesta ca lucive”, a “Fenesta vascia”, anche nella rilettura virtuosistica e retorica che Franza Liszt ha inserito in Venezia e Napoli, accennata da Vincenzo Zoppi. E ancora il Gaetano Donizetti, di “Canzona Marenara”, la melodia di Saverio Mercadante e del suo librettista Marco d’Arienzo, omaggiata nella sua “La rosa”. Per continuare con le canzoni della Piedrigotta, l’ironica “E tre chiuove” “‘A luna”. La formazione, ha dimostrato che quel suo particolare Dna ricompare in ogni piega, anche di pagine diverse, distanti centinaia d’anni poiché figlie della stessa madre, l’ostinata armonia della lingua napoletana. Mattatrice della serata è stata la voce del soprano Annalisa D’Agosto, ideatrice, grazie alla sua versatilità di un originale gioco tra spontaneità “popolare” ed educata modulazione “lirica”, evocando gemme musicali attraverso cui ha fatto apprezzare al caloroso pubblico la sua musicalità naturale ma sempre controllata e docilità d’interpretazione sempre vitale, in cui raggiunge l’autonomia drammaturgica e un tipo di seduzione che arrotonda e scalda il fraseggio. Brani in cui il duo ha saputo sottolineare il piacere del divertimento, della battuta musicale, piegando la pagina al lieve piacere dell’ascolto. Applausi calorosi per tutti e un bis richiesto e dedicato una intensa serenata che lo stesso Enrico Siniscalchi ha inteso accompagnare con la chitarra, ad uso dei migliori salotti musicali, dove una chitarra è sempre a disposizione ben accordata, per chi la sappia suonare, “Uocchie che arraggiunate”.