di Olga Chieffi
Torna a Ravello Anna Tifu e lo fa con l’Accademia di Santa Sofia, in occasione delle Giornate Europee del Patrimonio, il più partecipato appuntamento culturale europeo, che si terrà oggi e domani, nel nome dei valori della coesione e dell’inclusione sociale. “Patrimonio culturale: tutti inclusi!” è infatti il tema di quest’anno che mira, attraverso un ricco programma di iniziative straordinarie nei luoghi della cultura, a sensibilizzare sulla necessità di una partecipazione accessibile al patrimonio culturale abbattendo i muri dell’esclusione delle minoranze e delle differenze che ancora oggi resistono in numerosi ambiti della vita sociale. La fondazione Ravello, non poteva cerco mancare di offrire un tocco d’internazionalità, invitando la violinista sarda Anna dopo appena due anni di assenza col suo Stradivari, “Marèchal Berthier” 1716, ex Napoleone, della Fondazione Canale di Milano, che avrà anche il compito di far da madrina al taglio del nastro dell’Auditorium Oscar Niemeyer che sarà simbolicamente restituito alla Città dopo i lavori di riqualificazione. L’evento, si aprirà stasera con la visita di Villa Rufolo che sarà aperta al pubblico dalle ore 19.00 alle ore 22.00, in modo da godere della vista e della luna. Appuntamento il giorno successivo in auditorium, per il matinée, che principierà, con la Ciaccona in sol minore di Tomaso Antonio Vitali. Fu il violinista Ferdinand David ad attribuire questa pagina al Vitali, sulla base di un manoscritto conservato a Dresda che recava nel margine superiore della prima pagina l’indicazione “Parte del Tomaso Vitalino”. Gli studi condotti su questo lavoro non riconoscono l’attribuzione a Vitali ma, nonostante i dubbi musicologici, il pezzo è sempre stato molto popolare tra i violinisti. Questa composizione, tradizionalmente identificata come una ciaccona, è in realtà una passacaglia per violino e basso continuo, il cui tema viene proposto e rivisitato più volte nel corso dell’opera, con un progressivo incremento delle difficoltà tecniche a ogni nuova variazione. Tra gli arrangiamenti più noti per violino e orchestra è da ricordare quello realizzato da Ottorino Respighi. Seguirà il Concerto in sol maggiore RV 151 Alla rustica, di Antonio Vivaldi. Nell’Allegro iniziale, il carattere ‘rustico’ si rispecchia nella semplicità del materiale musicale; si tratta di un movimento basato su un moto perpetuo che può ricordare la sensazione di ripetitività tipica delle danze popolari. Il brevissimo Adagio centrale, al contrario, non ha niente a che fare con questa tendenza: ritroviamo il carattere solenne e il caratteristico ritmo ‘alla francese’, già visti in precedenza. Infine, l’ultimo Allegro, vera e propria danza, piena di gioia e di freschezza, chiude il concerto in un clima di irresistibile festosità. Un brevissimo Concerto, questo, in cui, in meno di quattro minuti di musica Vivaldi concentra una sorta di scenetta di genere, nella quale si raffigura la parodia di un’orchestrina di campagna, un tipo di satira dell’ignoranza musicale in voga per gran parte del Settecento, che trova la sua espressione più alta nel Musikalischer Spaß di Mozart. Vivaldi è meno aggressivo di Mozart, si limita a dipingere con simpatia un mondo musicale di sempliciotti lontani dalle raffinatezze armoniche, ritmiche ed espressive dei loro colleghi di città. Il Libro I della raccolta “Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione” op. VIII, annunciata come di imminente pubblicazione sulla Gazzetta d’Amsterdam il 14 dicembre 1725 dall’editore Le Céne, si apre con quattro Concerti per violino intitolati alle stagioni dell’anno: “La primavera”, “L’estate”, “L’autunno”, “L’inverno”. Risulta chiaro, dunque, che la natura della nuova raccolta di Vivaldi, studiata con cura a partire dagli anni attorno al 1720 consisteva nel tentativo di conferire alla musica strumentale e al linguaggio concertante un carattere narrativo e descrittivo. Scritti nel consueto stile di concerto, che alterna, sempre con grande libertà inventiva, ritornelli orchestrali a episodi solistici, le Stagioni di Vivaldi superano la visione arcadica della natura per descriverne anche gli aspetti più inquietanti ed ostili. Specialmente dove essa scopre un volto meno benigno, la fantasia del compositore trova spazio liberandosi dal più rigido schema concertistico e piegandolo alle esigenze di rappresentazione della natura. Qui, la poetica del Prete Rosso evoca quel filo conduttore che percorre la sua intera produzione strumentale, caratterizzata da un’ansia onnicomprensiva, da un demone bruciante che spinge il musicista ad una continua sperimentazione. La sua musica assume i tratti di magnetici affreschi sonori o ambisce, grazie alla forza del suo potere evocativo e della sua logica formale, a conquistare una proprietà narrativa e una pregnanza illusionistica di tale intensità da trasfigurare l’astratto gioco dei suoni nella vividezza visiva e gestuale di un evento teatrale.