Questa sera, alle ore 20, nel Complesso monumentale della SS. Pietà di Teggiano, il flautista sarà ospite della II edizione del Vallo di Diano Flute Festival, firmato da Salvatore Lombardi e Antonio Cimino
Di OLGA CHIEFFI
Evento di grande prestigio per la II edizione del Vallo di Diano Flute Festival, che questa sera, alle ore 20 al Complesso monumentale SS. Pietà di Teggiano, saluterà assoluto protagonista il flautista Andrea Griminelli, in duo con il pianista Amedeo Salvato. Una felice intuizione quella di invitare il virtuoso di Correggio, da parte Salvatore Lombardi direttore Artistico dell’Associazione Flautisti Italiani e del coordinatore artistico Antonio Cimino, il quale ospita l’evento, nell’incantevole cornice di Teggiano. Godibilissimo il programma proposto dal duo che si dividerà tra quella Salon Musik ottocentesca, d’ispirazione operistica, che richiede ai suoi cultori una robusta preparazione tecnica, fantasia pronta e versatilità, doti non solo esecutive ma anche d’invenzione e soprattutto di solido mestiere e gusto sicuro, che vedrà assoluto protagonista il flauto segnati da una forte carica di sentimentalismo, unito a uno spirito brillante che spesso trova espressione in forme di levigata eleganza, forse, in qualche momento, un po’ troppo alla ricerca dell’effetto esteriore, ma ricche di invenzioni sonore e la grande produzione di colonne sonore da film di Ennio Morricone e Nino Rota. Andrea Griminelli e Amedeo Salvato principieranno la serata con il Concertino op.107 di Cecile Chaminade, una pagina, datata 1902, di grande comunicativa tra romanticismo e impressionismo commissionata dal docente dell’epoca del Conservatorio Superiore di Parigi Paul Taffanel. Nell’ opera aleggia un tradimento amoroso, che l’avvolge in un’aurea drammatica nella quale le lunghe melodie post-romantiche e di brillanti virtuosismi, così tipici della fiorente scuola francese. Si proseguirà con la Gran Fantasia di Pietro Morlacchi sui temi del “Mosè in Egitto” di Gioacchino Rossini che riprende la vocalità trascendentale e il virtuosismo in una struttura di solenne staticità. Dal melodramma alle colonne sonore dei western di Sergio Leone, firmate da Ennio Morricone, quell’epopea pomposa ed evocativa nonché irridente, che è nel sentire di noi tutti, prima di ritornare all’opera, stavolta con un pot pourri sul Rigoletto, op.335 di Wilhelm Popp ad eterno ricordo di quella nascita di un teatro, di un fatto scenico e visivo, raro nella sua evidenza perché composto soltanto di suoni, che è l’opera verdiana, fantasia che gioca con le note di “Bella figlia dell’ amore, per quindi attraversare le pagine più incandescenti del dramma, fino a “Parmi veder le lagrime”. Omaggio, quindi, all’ “Amico magico” Nino Rota che si fece apprezzare per il delicato fluire musicale, talvolta ingiustamente scambiato per semplicismo, lontano da ogni vezzo avanguardistico, ma nemmeno inconsapevole della lezione novecentesca di Igor Stravinskij, Erik Satie e Kurt Weill, con le musiche del Romeo e Giulietta di Zeffirelli in cui seppe ripercorrere con una preziosità delicatissima la stroficità modale delle canzoni a ballo rinascimentali, e ancora le atmosfere siciliane e i sentimenti de’ “Il padrino”, sino al girotondo di “Otto e mezzo” di Federico Fellini, dove il flauto fu quello di Severino Gazzelloni. Gran finale con la celeberrima Fantasia di François Borne sulla Carmen, sintesi di una pagina che si basa essenzialmente sul virtuosismo estemporaneo, sulla brillantezza sensoriale che trascina immediatamente, ma altrettanto presto si consuma, nell’attesa del sovracuto finale.