di Peppe Rinaldi
«Il giorno del giudizio, per gli amalfitani che andranno in paradiso, sarà un giorno come tutti gli altri», è una frase che dice tutto: detta da un poeta e scrittore “pisano” come Neri Tanfucio (alias di Renato Fucini), che nel cuore avrebbe potuto coltivare una millenaria idiosincrasia per la rivale repubblica marinara, l’espressione raddoppia di valore e significato.
Amalfi è un paradiso, lo è in qualche modo ancora oggi a distanza di un secolo e passa dai versi di Fucini, su questo siamo tutti d’accordo. Ma nell’uovo c’è la sorpresa che, per spirito di autocommiserazione, definiremo con una litote: non dolce.
Un brand internazionale
Sono, infatti, gli amalfitani ancora vivi il problema, nel senso che si stanno lentamente estinguendo mercé l’impercettibile “eutanasia popolare” che viaggia, in quel luogo incantato e baciato da Dio, più agevolmente di quanto faccia altrove. Se l’Italia è affetta dal morbo della «denatalite» (dati Istat 2022: 7 nascite e 12 morti ogni mille abitanti) Amalfi e l’intera costiera amalfitana lo sono un pizzico in più, quel che tanto che basta per considerare estinta la popolazione indigena nell’arco dei prossimi venti/trenta anni, un battito di ciglia. Lo dicono i numeri e le proiezioni statistiche. È la “mammorecessione” che allarma da anni Tempi e non più di altre due, tre persone in tutto, il resto continua ad applaudire l’orchestrina sul transatlantico.Amalfi, “brand” che più internazionale e riconoscibile non si può, ci suggerisce oggi due cose: che la corsa all’estinzione, da maratona si sta trasformando in trotto e, soprattutto, che non c’è relazione diretta tra denatalità e condizioni economiche come si tenta di giustificare da più parti, peraltro riuscendoci.
La lancetta piccola
dell’orologio
La costiera amalfitana è un posto ricco, lo è diventato grazie alla sua strepitosa bellezza, un contesto, volendo, baudelairiano, allevato cioè in anni e anni di «lusso, calma e voluttà» che hanno fatto di un popolo indigeno marinaro e montano insieme l’ossatura che ha retto a lungo il magnifico corpo. Poi, come mai prima nella storia dell’umanità in tempo di pace, il suicidio collettivo, lento e inesorabile. Qui, tra Napoli e Salerno, le cose stanno un po’ peggio, come tra poco leggeremo nei numeri.
Grazie all’incessante e martellante opera di Giulio Meotti, tra i pochi ad aver capito da tempo dove stavamo andando a parare, abbiamo appreso dell’efficace immagine sulla demografia rappresentata dallo studioso francese Alfred Sauvy: «La demografia è come la lancetta piccola dell’orologio: sembra immobile, ma è la più importante».
Un posto ricco e per ricchi
La “Divina”, com’è detta la costiera amalfitana, è composta da 13 piccoli comuni, in totale siamo attorno ai 38 mila abitanti. I comuni sono Vietri sul mare, Cetara, Maiori, Minori, Tramonti, Conca de’ Marini, Amalfi, Scala, Ravello, Atrani, Praiano, Positano, Furore. Il luogo, la storia, la bellezza incontaminata, la scarsa speculazione edilizia rispetto ad altri centri turistici, un paio di secoli di ottima pubblicità (Grand tour della meglio gioventù internazionale, scrittori e poeti, registi e attori dalla Dolce vita a Hollywood, intellettuali e nobili da ogni dove, grande e media borghesia di tutta Italia), mare curato, cibo da sogno, danaro a fiumi scaricato sul posto e via elucubrando, hanno fatto della Costiera un posto dove oggi, metà aprile del 2023, non c’è già più un posto libero per Ferragosto.
Parliamo di una forbice di spesa per il “turista”, tra i poco meno di 10 mila posti letto totali, che va dai 500 ai quasi 8 mila euro al giorno per alberghi di fascia media, alta e altissima. Ravello e Positano in questo svettano. Idem per le case, le ville e i bed&breakfast stradiffusi tra i piccoli e piccolissimi centri costieri. Ricchezza sparsa sul territorio per anni e anni, conti in banca in continua crescita per una popolazione quasi interamente votata al turismo (e molto ha giocato, e gioca, il “nero”), progresso e avanzamento di interi ceti sociali, nonno dopo nonno, padre dopo padre, da figlio in figlio fino a oggi: eppure tutto questo non è stato sufficiente a frenare l’eutanasia. Le Cinque Terre, in Liguria, orograficamente affini alla Divina, stanno anche peggio, sono già tutti “morti” guardando i numeri della demografia; Venezia, intesa come «i veneziani», al netto dell’oggettiva diversità geo-politica, pure viaggia spedita verso la rarefazione del suo popolo e non è, peraltro, neppure una novità.
Peggio dell’Italia
Ma veniamo ai numeri, diamone qualcuno anche noi, tanto per capirci meglio.
Ragionando brevemente su quelli globali aggiornati al 2021 e mantenendo alta l’attenzione sul dato Istat essenziale del 2022 pubblicato nei giorni scorsi (ripetiamo: 7 nati e 12 morti ogni 1000 italiani), vediamo che da un lato la Campania sta leggermente meno peggio del resto d’Italia ma che la Divina sta invece peggio, in qualche caso specifico molto peggio: ad Amalfi abbiamo una media di 6,8 nati (33 bambini nel 2021 su una popolazione di 4.830 abitanti, nel 2001 erano 5.428); a Cetara (famoso centro di produzione del “garum” degli antichi romani, in pratica l’odierna colatura di alici che appassiona i gourmet di mezzo mondo) a quanto pare si è morti soltanto, con appena 3 nascite in tutto il 2021 (su una popolazione di 1.997 abitanti, nel 2001 erano 2,364). Gli altri undici centri pure hanno numeri sconfortanti, inutile ripeterli tutti, bastino questi due per rendere l’idea.
Sconfortanti in quanto irreversibili, come la scienza demografica insegna, esattamente come l’età media dei centri della Divina, dettaglio che spiega tutto e che conferma il nostro assunto secondo il quale non si fanno più figli non perché non ci sono soldi e futuro ma perché tre, quattro decenni di “cultura del progresso” hanno creato il terreno fertile per scavarci la fossa che ci sta inghiottendo tutti.Mancanza di personale
A questo si aggiunga – come lamenta l’ex assessore allo Sviluppo economico di Maiori Gerardo Russomando, esperto di numeri e di economia – l’enorme difficoltà nel reperire il personale del comparto turistico, situazione aggravatasi negli ultimi 3 o 4 anni (il Reddito di cittadinanza ha comunque giocato la sua parte ma non spiega tutto): «La mobilità in costiera è un dramma antico, alloggi per il personale non se ne trovano facilmente, il che scoraggia l’ingresso di forze fresche e giovani adatte al settore turistico, persone che devono per forza venire da fuori Costiera in quanto di indigeni non ce ne sono già più in quantità necessaria e sufficiente, l’unica soluzione sarebbe la costruzione di una ferrovia da Salerno, ma solo accennarvi scatena un putiferio, com’è già successo in passato».
E la politica? Ammesso che sappia di cosa parliamo, per la Costiera pensa a due cose, tutte e due irrisolvibili: il traffico d’estate e il dissesto idrogeologico, oltre non riesce ad andare.
Senza futuro
Con queste premesse il quadro del futuro prossimo vedrà la costiera amalfitana trasformata in un’ampia zona ma unicamente turistica, amalfitana senza gli amalfitani insomma, ugualmente bella ma senz’anima.
Con un dettaglio conclusivo: moriremo tutti, anche i proprietari di case, alberghi, bed&breakfast, ristoranti, trattorie, bar e ogni che di recettivo esista sulla Costiera. Senza figli, senza sangue fresco immesso nel sistema, senza futuro quindi, l’unica strada sarà vendere tutto, piano piano, un albergo dietro l’altro, un locale dopo l’altro.
A chi? Guardando il mappamondo, oggi, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Del boia.
(Da Tempi)