Continuano i seminari al Conservatorio di musica di G.Martucci promossi dal binomio composto da Nunzia De Falco e Francesca Guerrasio
Di Olga Chieffi
Continuano i seminari promossi presso l’aula 29 del Conservatorio di musica di G.Martucci, curati dal binomio composto da Nunzia De Falco e Francesca Guerrasio. Oggi, a partire dalle 9, l’intera mattinata sarà dedicata ad un tema particolare “Corpo, Parola e Suono nel teatro musicale del primo Novecento”, affidato a Massimiliano Locanto, docente di Storia della Musica presso il nostro ateneo e Francesco Aliberti docente di esercitazioni Corali presso il Conservatorio di musica “Francesco Cilea” di Reggio Calabria, nonché direttore del coro del teatro Verdi di Salerno. “Nell’epoca della resa dei conti tra l’Occidente e il resto del mondo, inquadrare suono, gesto e parola nel teatro e in generale nell’esperienza musicale è possibile assumendo una prospettiva più ampia: potremmo dire filosofica o, meglio ancora, collocabile oltre la filosofia. Perché è tempo di voltare pagina, al di là del tradizionale rapporto tra mente e corpo, ragione e vita, logico e pulsionale, che il pensiero del Novecento ha posto con urgenza senza riuscire a trasformare dal profondo il nostro modo di vivere”. La riflessione, avverte Francesco Aliberti, porrà in risalto situazioni rilevanti dal punta di vista didattico, sulla base di esperienze di insegnamento che investono anche il tema della vocalità. Un tema amplissimo, questo, che certo una mattinata di studi alla presenza degli allievi del Liceo musicale Alfano I di Salerno, non potrà sviscerare a fondo, ma che sicuramente provocherà qualche scintilla nella giovane platea, acclarata la formazione musicologica e filosofica dei due relatori. L’importanza assunta dalla voce nell’opera evoca per chiunque, artista e non, e più della musica strumentale, delle esperienze dinamiche del corpo che hanno le loro radici nelle acquisizioni della tenera infanzia. La voce resta, infatti, il più grande potere di emanazione del corpo. La giornata avrà contenuti significativi, intrecciati con la filosofia e chiaramente con la musicologia e anche con la didattica del canto stesso. Un viaggio fra i segreti della psiche e del corpo, fino alle sorgenti del suono e all’intimo legame tra la voce e le emozioni: il gesto e il movimento, le forme molteplici attraverso cui è possibile plasmare e indirizzare l’emissione, la geografia mentale e fisica e la proiezione del sé, le capacità espressive, gli impulsi e le vibrazioni, le frontiere del neuro-training e la percezione. L’urklang liberatorio custodito nella phonè – la voce nella sua pluralità di significati e valenze, l’urgenza del comunicare che traduce i pensieri in forme sonore, fino a costituire interi alfabeti e grammatiche. La sua forza simbolica – dal sacro al profano – con il mistero di una prima vibrazione che si fa mondo e materia, scintilla di energia e vita; e la potenza del Logos o Verbo che dà il nome, e quindi definisce la realtà di ciò che è; invocazione e tensione all’infinito che si compie intessendo trame di parole in seno all’universo; ma anche la capacità risanatrice e consolatrice, la trasmissione dei saperi, l’espressione dei concetti fondamentali di verità e giustizia. Se ciascun essere è corpo e voce – per ritrovare l’armonia – la chiave è – o potrebbe essere riconoscere e ricostruire, il proprio corpo sonoro, fuori da pregiudizi estetici. Nel senso dell’arte – e del teatro, come del canto – è insieme dimensione esperienziale e ricerca individuale di una via espressiva, attraverso il proprio personale “strumento”, cioè il corpo; è sapienza tecnica e conoscenza di sé e dei propri mezzi di quell’equilibrio tra mente e corpo, che porterà noi uomini della fine alla ricerca del primordiale. Massimiliano Locanto interverrà sui balletti russi e sulle loro creazioni coreografiche, che convogliano la concezione che chi crea il balletto ha non solo del corpo che si muove seguendo le sue istruzioni, ma anche del proprio corpo, che percepisce più o meno abile ad eseguire il dettato del pensiero. La coreografia, la sua “scrittura” trasmette qualcosa di più delle forme mobili di una danza: essa consente appunto di individuare il modo in cui il coreografo concepisce il corpo ed è una fonte che permette di accedere alla sua soggettività.