Di Peppe Rinaldi
Qualcuno aveva informato Franco Alfieri di indagini a suo carico della cui esistenza non avrebbe potuto né dovuto sapere. Invece ne era informato, al punto da farselo scappare in seduta pubblica, come tra poco proveremo a spiegare. Il punto ora è capire chi sia stato al tempo e chi lo sia stato in tempi recenti: e non è solo una mera curiosità giornalistica vista la piega e il sottotesto di quanto accaduto dal 3 ottobre scorso, giorno dell’arresto.
Lunga intervista in Tv dopo il blitz della Dia
Era il 27 febbraio del 2021, eravamo tutti ancora storditi, mentalmente claudicanti a causa della polmonite cinese che stava flagellando mezzo mondo. Quel giorno Alfieri rilascia un’articolata intervista all’emittente locale Stile Tv della durata di oltre un’ora. Al centro del faccia a faccia con il giornalista v’era il blitz della Direzione investigativa antimafia al comune di Agropoli, a casa dell’allora sindaco Adamo Coppola, allo studio professionale di quest’ultimo e dello stesso Alfieri in centro città. Furono sequestrati faldoni su faldoni di carte e documenti: su tutto, alcune centinaia di cartelle di pagamento, multe e contravvenzioni varie fatte a cittadini che, verosimilmente, cercavano le vie brevi cosiddette allorquando si trattava di dover pagare qualcosa, roba all’italiana in pratica. Poi, anche di quelle multe non s’è più avuta traccia.
L’ordine partì da un magistrato della Dda oggi non più a Salerno, la sua esecuzione ebbe anche punte di spettacolarità, non si sa quanto involontaria, con passeggiata degli agenti della Dia carichi di faldoni, auto di servizio in bella mostra sul selciato della casa comunale, insomma, una cosa che irriterebbe chiunque, et pour cause: ma il mondo è crudele, si sa, e Agropoli di questo mondo faceva e fa parte. Ora, al di là del colore della notizia, nel lungo faccia a faccia con la tv pestana, il già sindaco di Capaccio ma pur sempre dominus corrente di Agropoli e molto altro, appariva da un lato stanco e preoccupato, dall’altro resiliente e combattivo come del resto suggerirebbe la sua naturale costituzione. Ne ebbe di ragioni, alcune delle quali condivisibili, pronunciando l’arringa (requisitoria?) televisiva in cui precisava questo e chiariva quello, quando era ancora fumante la pistola della famigerata sfilata della autoambulanze per festeggiare la sua elezione, c’era la vicenda relativa all’imprenditore Roberto Squecco a dominare la cronaca di quei giorni e l’arresto della di lui moglie, consigliera comunale legata ad Alfieri e che, onorevolmente, lo stesso sindaco di Capaccio non sconfessò dimostrando una certa schiena dritta non sempre rintracciabile in chi si trova sotto il fuoco mediatico-giudiziario. Ma questa è un’altra storia.
Parole dal sen fuggite
Ad un tratto Alfieri sbotta e dice, più o meno, che ci sono ufficiali di Pg che lo perseguitano da anni e che ancora insistono con informative, relazioni etc. Aveva ragione Alfieri, veramente c’erano in corso altre indagini oltre al blitz di quelle ore della Dia, e c’erano sia alla Dda che alla procura ordinaria (parte delle quali, come abbiamo già più volte scritto, abortite, stralciate, sterilizzate e svanite nel nulla) ma la domanda è: come faceva a sapere di quelle fresche e più recenti? Come era venuto a conoscenza di queste informative che lo vedevano al centro di ipotesi di reato ancora “teoriche” ma tutte da approfondire a giudicare da ciò che vi era contenuto, coronate poi tre anni dopo dalle manette e grazie soprattutto al fatto che il vertice dell’organo inquirente aveva cambiato timoniere? Chi lo aveva spifferato al sindaco di Capaccio che la Pg, quella forse meno sensibile alle lusinghe del mondo, aveva relazionato e stava relazionando in quei giorni su di lui e su un presunto sistema politico-affaristico nel Cilento? Senza per questo sentirsi parte di una sceneggiatura poliziesca, vien da dire che si tratterebbe del classico caso di una talpa, o più di una, che informava il presidente della Provincia. La qual cosa, si comprenderà, per quanto non nuova in certi contesti, è particolarmente grave: infatti è oggi tra i sentieri battuti nel rinnovato interesse investigativo, nonostante la difficoltà tecnica di ricostruire una rete di interessi e protezioni che dovrebbe concentrarsi sul proprio mondo professionale e collaterale. “Vaste programme”, diceva un famoso statista francese, anche perché, in inchieste parallele più o meno coeve (alcune delle quali fatte dal Gico della Gdf di Roma) era emerso, tra molto altro, che un pugno di rappresentanti di alcuni corpi militari, coltivava rapporti con il dominus della politica del comprensorio: chi gli chiedeva di interessarsi per il trasferimento della moglie, della figlia o dell’amante da tal posto in quell’altro; chi chiedeva l’assunzione in banca o il posto all’Asl; chi questo e chi quello, solite cose insomma. C’era, poi, il caso particolare di un sottufficiale che, grazie ai servizi privati nella residenza marina di un alto e blasonato papavero del corpo di appartenenza, riusciva spesso a tirarsi di impaccio dai guai giudiziari nei quali finiva spesso. Agli atti della maxi inchiesta attuale ci sarebbero, ancora, documentazione video e audio di riunioni conviviali nelle sale interne di un noto hotel di Paestum, cene e pranzi al riparo da occhi indiscreti cui partecipavano sostituti procuratori, anche di peso, forze dell’ordine, qualche avvocato, Alfieri stesso, qualche accolito di quest’ultimo e vari attaché di altri. Tutto materiale che, fin dove è stato possibile, sarebbe stato riversato nelle carte attuali e che – chissà- tra Salerno e Napoli potrebbe riemergere con prepotenza. Non sarà facile.
Collateralismi insidiosi
Oggi Franco Alfieri si trova in carcere a Fuorni, la sua fibra pare regga ancora il peso di una situazione tremenda che, paradossalmente, offre lo spunto per una breve riflessione generale, peraltro già sviluppata su queste colonne in altra occasione: Alfieri (e il suo “sistema”, vale a dire ciò di cui leggiamo un po’ dappertutto in queste ore ma sempre come rielaborazione o trascrizione di un’ordinanza cautelare, non come autonomo lavoro) non è la causa bensì il sintomo di un problema più grande e, esso sì, inquietante: i rapporti e le relazioni tra quel mondo e pezzi degli organi di controllo, per via diretta o indiretta.
Un problema di gigantesca opportunità, foriero di imbarazzi già in passato, ora potrebbe sorgere al Tribunale del riesame, organo al quale l’avvocato Agostino De Caro, difensore di Alfieri, si rivolgerà tra qualche giorno per l’annullamento della misura coercitiva dopo il diniego del gip alla scarcerazione. Chi scrive sa che, in questo caso specifico, è molto difficile, diremmo impossibile il benché minimo condizionamento, il più infinitesimale dei riflessi: però non è sufficiente saperlo, perché anche le pietre non ignorano che Alfieri, aveva strettissimi rapporti con il presidente di una società pubblica regionale piazzato sulla sedia dal Pd, che è un congiunto di un importante, per quanto serio ed insospettabile, magistrato dell’ufficio, elemento che potrebbe addirittura rivelarsi controproducente per lo stesso Alfieri e per i suoi innegabili diritti: tutto ciò anche se esistono gli istituti delle astensioni o, dall’altro lato, una pluralità di sezioni che diversifica lavoro e operatori.
Quando qualcuno dice che i parenti, i figli, i fratelli, mariti, mogli etc di magistrati sarebbe meglio non facessero politica, si dice una cosa “anticostituzionale” senz’altro, ma anticostituzionale non significa di per sé irrazionale o infondato. In genere la politica, che fa il suo legittimo gioco finché è legittimo, non piazza i “parenti di” in posti e posticini vari di sottogoverno perché sono dei fuoriclasse o siano menti raffinate di cui è impossibile fare a meno, anzi spesso è il contrario: ma lo fa perché punta o spera nell’effetto deterrenza, diciamo, che automaticamente insorge se il figlio di Tizio è compagno di partito o il fratello di Caio presiede la tal società e via dicendo. Funziona fino a quando funziona.
Si osservino alcuni tra i personaggi sistemati nel corso del tempo in consorzi, società pubbliche e consigli di amministrazione vari e si capirà che maramaldeggiare su Alfieri, per quanto ora facilissimo ancorché a tratti ignobile, sposti i termini della questione altrove. Una questione che prima o poi le stesse carte di questa maxi indagine su uno dei pilastri politici ed istituzionali del potere in Campania potrebbero fare esplodere. Vedremo.