di Erika Noschese
Sono ore particolarmente difficili per Palazzo Sant’Agostino: ieri, nuovamente, la visita della Guardia di Finanza e dei Carabinieri che portano avanti le indagini sulla Fondovalle Calore. Al contempo, le forze dell’ordine hanno notificato un atto all’ingegnere Lizio, ex RUP dell’opera, verosimilmente l’accusa di associazione per delinquere che ha raggiunto gli altri indagati nell’ambito dell’inchiesta ribattezzata Sistema Cilento. I finanzieri avrebbero fatto visita, per la seconda volta, al nuovo RUP Caiazzo, ma le indagini, secondo quanto emerso, sarebbero concentrate sul progettista Giovanni Vito Bello, dirigente del Comune di Capaccio Paestum e uomo di fiducia di Alfieri, progettista delle gare relative al sottopasso, la Fondovalle Calore e l’Aversana, che avrebbe redatto i progetti in virtù di un accordo quadro stipulato, a titolo oneroso, con la Regione Campania.Il nuovo blitz delle forze dell’ordine ora sembra preoccupare particolarmente i consiglieri provinciali, anche e soprattutto quelli del PD, che oggi chiedono a gran voce le dimissioni del presidente Franco Alfieri. Dimissioni che, se fino ad oggi erano categoricamente escluse, ora sono ipotesi concrete perché la maggioranza di Capaccio Paestum non riesce a lavorare serenamente, costretta a fare i conti con il dissesto del comune ma anche con i nuovi dettagli che stanno rafforzando l’ipotesi di un vero e proprio sistema Cilento. Di fatto, proprio dalle motivazioni del riesame emerge che la scelta degli arresti domiciliari è collegata anche alla decisione di Alfieri di non rassegnare le dimissioni da presidente della Provincia e da sindaco di Capaccio Paestum; situazione simile per Elvira Alfieri, la sorella, che non ha rassegnato le dimissioni dalla carica di legale rappresentante della Alfieri Impianti. A dimettersi è stato Campanile, ma non basta: secondo la Procura, infatti, è stato dimostrato che ha operato in contesti differenti da quelli inerenti alle funzioni esercitate di capostaff del sindaco Alfieri.Sul fronte Dervit, il riesame ha respinto la richiesta di Vittorio De Rosa perché, pur essendosi dimesso dall’incarico di presidente del CdA, è rimasto intraneo alla compagine societaria in quanto riveste la carica di socio, detentore del 14% del capitale sociale e membro (non presidente) del CdA. Situazione simile per Alfonso D’Auria che non detiene più la procura speciale e la qualifica di direttore tecnico all’interno della Dervit ma resta dipendente. “Tali elementi denotano la persistente e concorde volontà di ciascuno degli indagati di continuare a far parte del sistema criminale, sicché è quantomai impellente la necessità di impedire contatti, di qualsiasi tipologia, tra i protagonisti della vicenda onde evitare che possano procrastinarsi le condotte oggetto di contestazione cautelare o condotte analoghe”, ha scritto il presidente Dolores Zarone, evidenziando però che anche in caso di dimissioni nulla cambierebbe in quanto “è stato messo in piedi un sistema in cui le cariche sono solo una ingannevole apparenza, visto che si è assistito, in concreto, ad una continua sovrapposizione di ruoli che si sono espletati al di là delle formali qualifiche rivestite e anche avvalendosi di prestanome, ovvero uomini di fiducia”.Di fatto, Franco Alfieri, pur non rivestendo carica formale all’interno della Alfieri Impianti, era il motore decisionale ed operativo della società; la sorella Elvira non era titolare di alcuna autonomia decisionale, dovendo concordare ogni scelta con il fratello; Campanile Andrea ha operato in contesti estranei al suo ruolo formale; De Rosa Vittorio ha conservato ogni potere decisionale in quanto socio della Dervit, mentre D’Auria Alfonso resta alle dipendenze della società e di conseguenza permane il rapporto fiduciario con D’Auria.