Questa sera alle ore 20, concerto nella chiesa della SS. Annunziata con un ensemble di giovani musicisti che si cimenteranno tra convergenze e deviazioni su classici del genere passando per Piazzolla e Di Capua
Di OLGA CHIEFFI
“Si vivono tempi in cui si deve parlare di una nuova tipologia di musicista e quindi di un suo nuovo rapporto con gli esseri viventi e le cose, con la scuola, la società, gli ascoltatori gli altri musicisti, gli artisti tutti, con la vita stessa. E si parla ad un tempo di un musicista che deve aprirsi a tutto tondo alla conoscenza e, possibilmente, anche alla prassi, di tutti i sistemi armonici e contrappuntistici, di tutte le forme musicali, anche quelle cristallizzate in generi, di tutte le esperienze sonore delle etnie dei popoli; quindi, di un musicista e di un pubblico che possieda la storia della musica, accanto alla storia delle musiche. L’improvvisazione e la variazione rappresentano in musica i percorsi di unità e divergenza di tutti i generi, una “semplice” complessità in cui la manipolazione del materiale sonoro definisce strutture e modelli la cui interazione genera sistemi a livelli crescenti di astrazione. La ragione semantica della musica emerge, nel continuo divenire del “ludus harmonicus”, il gioco dell’invenzione e della mutazione, come una indescrittibile ed immanente intuizione del noumeno. Dalla nascita della musica il binomio variazione-improvvisazione ha attraversato l’intera letteratura musicale e se nell’atto della variazione come scrive Nielsen “Si debba vedere più che una elaborazione del tema un ripensamento di esso, ripensamento che porta a superare il punto di partenza, cioè il dato di fatto iniziale che nella variazione dovrà essere in sé compiuto, in un certo senso autosufficiente, un microcosmo già formato che va interpretato e rinnovato mediante una valorizzazione delle sue risorse e possibilità”. Su queste tracce che furono tema della XXI edizione di uno degli eventi musicali più prestigiosi della nostra città, il Festival di Musica Barocca, purtroppo oggi scomparso, ideato e promosso da Carmine Mottola e dalla sua associazione Koinè, questa sera nella splendida chiesa dell’Annunziata restaurata, alle ore 20, domani nella chiesa di San Bartolomeo in Eboli, alle ore 19,30 e domenica nella chiesa del Sacro Cuore di Bellizzi alla stessa ora, un gruppo di giovanissimi musicisti, hanno scelto di ri-visitare perle della letteratura barocca quali i due concerti per quattro violini di Georg Philip Telemann, passando per il tango di Gardel, Vivaldi Corelli, Tartini, Caccini, Haendel sino al Di Capua di “ ‘O sole mio”. Antonio Nobile, Mauro Tamburo, Martina Maffongelli, Massimiliano Esposito al violino, con l’aggiunta di Lorena Oliva al clavicembalo e del soprano Ilaria Sicignano che condurrà anche la serata, inizieranno il loro recital con il Georg Philipp Telemann dei concerti a quattro, scritti a soli 17 anni, dal genio tedesco, dal carattere vigoroso, in cui ogni violino è chiamato a parti solistiche in forma concertante, il primo in Sol maggiore e il secondo in Do Maggiore. Passaggio in Argentina per un portrait di Carlos Gardel, El Morocho, con “Por una Cabeza”, un tango composto dalla premiata ditta Carlos Gardel e Alfredo Le Pera, nel 1935, dedicato al mondo delle corse dei cavalli. L’incollatura, la cabeza in spagnolo, è nel gergo ippico una unità di misura e corrisponde alla testa di un cavallo, piccolo vantaggio che può determinare la vittoria o la sconfitta in una corsa, quindi, nella vita. Ritorno al barocco tutto italiano stavolta con la sonata a tre di Antonio Vivaldi, RV77 in si bemolle maggiore dal carattere ritmico e sorprendentemente vario, che segna lo stile inconfondibile del prete rosso. Mauro Tamburo e Lorena Oliva si cimenteranno quindi con la sonata op.5 n°1 in Re maggiore di Arcangelo Corelli pubblicata nell’anno 1700, che inaugura il secolo con un modello insuperato di intensità melodica, eleganza formale e profondità espressiva. Quindi i quattro violini con clavicembalo proporranno, in un particolare arrangiamento, la celeberrima Sonata di Giuseppe Tartini in Sol minore “Il trillo del diavolo”, un sogno diabolico che inizia con un Larghetto affettuoso, in 6/8, tema principale della pagina dalla struttura semplice e lineare, eccezion fatta per alcuni procedimenti armonici e la presenza dello stesso trillo. Il secondo movimento un Allegro, in 2/4, è la prima variazione sul tema del Larghetto. Il terzo ritorna ad un’atmosfera grave, molto lenta, in 3/4, e più mesto del primo movimento. Entrerà, quindi, in scena il soprano Ilaria Sicignano, per dedicare al pubblico l’Ave Maria di Giulio Caccini, uno dei più grandi falsi della musica poiché scritta da da un russo vissuto negli anni Settanta del secolo scorso, Vladimir Fedorovic Vavilov, seguita dall’accorato lamento di Almirena «Lascia ch’io pianga», tratto dall’oratorio Il trionfo del tempo e del disinganno, che nella versione drammatica del Rinaldo, che ascolteremo stasera, produce un effetto commovente e di rara intensità, per chiudere con un bene augurante “O sole mio”, quasi il secondo inno d’Italia.