Addio a Lelio Schiavone. Fondò la galleria Il Catalogo - Le Cronache Ultimora
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Addio a Lelio Schiavone. Fondò la galleria Il Catalogo

Addio a Lelio Schiavone. Fondò la galleria Il Catalogo

Lelio Schiavone se n’è andato a più di 90 anni, dopo aver lavorato per oltre sessanta alla costruzione di futuri possibili nel campo dell’arte contemporanea. Un lavoro iniziato il 16 febbraio del 1968, quando la sua galleria, denominata “Il Catalogo” per l’ispirata intuizione di Alfonso Gatto, amico e sodale del fondatore per lunghissimi anni, aprì la sua sala al pubblico con l’esposizione del maestro Corrado Cagli. Già nel volgere di pochi anni, lo spazio espositivo situato nel centro della città, in via De Luca, a pochi passi dall’austero edificio della Banca d’Italia, sarebbe diventato un laboratorio non soltanto artistico ma culturale, l’area di confronto dei maggiori intellettuali del dopoguerra, avvicinati alla città di Salerno e, in particolare, al Catalogo prevalentemente dall’opera costante di promozione svolta dal poeta Alfonso Gatto. È un periodo di grandi intraprese intellettuali per la città e la provincia. Nasce il Teatro gruppo che catalizza le maggiori sensibilità legate all’avanguardia, ma si attestano – con epicentro nell’Università di Salerno – grandi e profonde elaborazioni dottrinarie legate all’espressività estetica e alla creazione di nuovi linguaggi in grado di creare poetiche innovative che valicheranno i confini nazionali. Siamo nel tempo dei maestri in cattedra, da Filiberto Menna a Enrico Crispolti, ad Angelo Trimarco, Eduardo Sanguineti, Achille Bonito Oliva. Addirittura, in quegli anni, si ipotizza il superamento dell’opera d’arte e si passa a “codificare” un’azione scenica nella quale si iscrivono inedite sensibilità pittoriche, descrittive, metalinguistiche. Un testo fondamentale di Enrico Crispolti sull’arte nel sociale illustra questo sommovimento tellurico che scosse alla radice la creatività per così dire tradizionale. Le dirompenti avanguardie e trans-avanguardie furono un discorso diverso, quasi alternativo rispetto a quello de Il Catalogo, legato fedelmente al valore sia realistico che simbolico dell’opera d’arte tradizionale. Parliamo dell’imperitura tela, dei colori, dell’esposizione in uno spazio di osservazione e discussione; ci riferiamo allo specchiamento del visitatore in figure e personaggi solcati dal tempo della storia e delle conquiste civili, come emerge dal consenso riservato al pittore salernitano Mario Carotenuto, habitué dello spazio. Il Catalogo, tuttavia, non nega diritto di cittadinanza a questi nuovi flussi di pensiero, apre la sua sala al confronto intellettuale con la nuova e rivoluzionaria creatività, ma alla “irriverenza” trasgressiva dei nuovi corsi propone il meglio della tradizione pittorica toscana e la riconoscibilità del tratto dei grandi maestri del Novecento, da Rosai a Maccari, a Purificato, fino al neo-figurativismo di Schifano e Turcato. È lì, in quello spazio, che la buona borghesia salernitana, quella più abbiente e sensibile, si dota per le proprie abitazioni delle opere di maestri che mai avevano esposto prima di allora nella città di Salerno, ma lo fanno a “Il Catalogo”, marcando l’evento inaugurale con la loro presenza e portando in Campania le stimolazioni più preziose del loro pensiero. Oltre i nomi già menzionati, si susseguono le presenze di Antonio Possenti, Alberto Ziveri, Renato Borsato, Piero Vignozzi, Gastone Breddo, Rodolfo Ceccotti, Renzo Grazini, Franco Villoresi, Sergio Scatizzi, un flusso di esperienze tra le maggiori del paese, che attrae nella galleria di Lelio Schiavone il fior fiore della critica militante. Un’attività incessante, che ha raggiunto nel tempo le cellule più avanzate di riflessione ed elaborazione sull’arte e i suoi percorsi, dalle maggiori testate giornalistiche generaliste a quelle specialistiche, un’azione a raggiera che nel tempo ha raggiunto i livelli politici che, in più occasioni, hanno manifestato al fondatore e al suo più stretto collaboratore, Antonio Adiletta, la loro ammirazione. La visita al Catalogo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è stato il momento di più alto consenso dell’Italia intera verso un lavoro certosino, costante, intelligente svolto per tenere serrate le fila dell’arte pittorica più accreditata e con maggiore mercato. Un successo che è senz’altro ascrivibile anche alla poliedricità dell’attività di Lelio Schiavone, talvolta presente sulla scena nazionale anche come editore. Gli scritti di Alfonso Gatto, inviato speciale al Giro d’Italia, furono raccolti ed editati proprio dalla galleria salernitana, ma pochi sanno che Il mannello di Natascia e altre cronache in versi e prosa (1930-1980), opera unica nella produzione di Vasco Pratolini, fu stampata in 350 esemplari oggi rarissimi dalla galleria salernitana. L’edizione definitiva, nel 1985, fu mandata negli scaffali, anni dopo, da Mondadori. Nel corso del tempo l’attività promozionale della galleria si è notevolmente rallentata: gli anni passano per tutti, anche per i pionieri come Lelio Schiavone. Nell’ultimo decennio, infatti, si era affievolita quella presenza culturale che per decenni aveva attraversato le arti e la cultura, ritrovando sempre inediti punti di coesione e di interferenza e soprattutto di collegamento culturale con centri artistici dell’Italia più colta e consapevole. Anche la città, divenuta immemore e inconsapevole, non ha più mostrato legami forti con lo spazio di via De Luca. Colpa del calo di iniziative? Non solo. Certamente è scaduta la identità culturale della nuova borghesia salernitana, superficiale, globalizzata, poco partecipe della vita artistica e intellettuale della città (invero ridotta da tempo al lumicino), ma molto più attenta ai richiami pseudointellettuali della Salerno “da bere”. V. Sol.