Antonio Manzo ha sempre stupito i lettori non solo per la sua raffinata scrittura ma soprattutto per la capacità di studiare documenti inediti che contribuiscono a proporre articoli che sono veri e proprio capolavori di giornalismo.
Ieri ha riportato appunti del 28 ottobre 1954 dell’allora segretario Monsignor Montini, poi Paolo VI, che confermano l’interesse del Papa per le vicende politiche di quegli anni e per la città metelliana in particolare.
Il direttore Tommaso D’Angelo mi chiama per annunciare lo scritto di Antonio e mi chiede di raccontare qualche aneddoto del privato di Don Eugenio, della spontaneità, della simpatia di un personaggio che ha scritto una bella pagina di storia nella nostra provincia.
Ed io ho ripercorso gli anni di un sodalizio politico di un decennio, tra il 1985 ed il 1995, nel quale ho condiviso, con Don Eugenio, l’esperienza alla Provincia di Salerno.
Eravamo seduti in banchi opposti, io capogruppo del PCI, lui della Dc, ma sin dai primi interventi, in Aula e nelle Commissioni, emerse l’obiettivo comune della concretezza, della soluzione del problema, dell’interesse istituzionale.
Stabilimmo da subito un rapporto di stima e di rispetto oltre le appartenenze e le diversità.
Don Eugenio era l’avversario leale che, nella Conferenza dei Capigruppo che precedeva il Consiglio, comunicava con nettezza su quali argomenti si poteva convergere su quali c’era opposizione.
Mai una posizione pregiudiziale.
E fu così che, tra una convergenza ed una opposizione, tra un consiglio ed un rimprovero, nacque una bella amicizia, fuori dal palazzo.
Schietto, spontaneo e senza ambiguità ma soprattutto ironico e irridente, Don Eugenio era il “compagno di viaggi” che tutti avrebbero voluto.
In preparazione dei nostri viaggi all’estero, (Parigi, Caracas, Mosca, Leningrado) mentre gli altri si affrettavano a comprare dizionari per imparare qualche parole, Don Eugenio, con disinvoltura e semplicità, ci ammoniva di non preoccuparci, perché ci avrebbe pensato lui.
Infatti lui conosceva “un napoletano con accento cavese” ed ovunque comunicava con la stessa lingua, accompagnandosi con gesti delle mani.
Oggi si dice “linguaggio del corpo” ed io non saprò mai se Don Eugenio l’aveva studiato, ma aveva la grande capacità di farsi capire ovunque.
Una giornata di esposizione al sole, in Venezuela nell’autunno del 1990, gli provocò il gonfiore dei piedi.
La sera, dopo aver indossato l’elegante abito panna, non riuscì ad infilare le scarpe e così decidemmo di andare in farmacia con il nostro taxi.
Chiedemmo all’autisat di comprare una medicina, ma passò un po’ di tempo ed allora Don Eugenio mi chiese di scendere dall’auto con lui ed entrare in farmacia, mentre si prolungava una discussione tra l’autista ed il farmacista.
Don Eugenio decise di chiudere quella discussione sul farmaco più efficace: poggiò il piede su una sedia, fece avvicinare il farmacista, gli mostrò il piede gonfio e con le mani fece il gesto di stringere, “stringere piede…stringere piede…”, ripè… e finalmente riuscimmo ad avere ciò che serviva.
Quando gli amministratori di Maracaibo giustificarono le modeste costruzioni abitative ai margini della città con fattori climatici e non dipendenti dalla povertà dovetti trattenerlo: ”ma ci trattano da fessi? Che faccio? lo dico?”
Non sopportava gli argomenti di comodo e voleva protestare.
A Parigi, più o meno negli stessi anni, tra il 1989 ed il 1990, decidemmo di visitare Montmartre.
Io con altri amici prendemmo il primo taxi mentre Don Eugenio con Angelo Palladino e signora presero posto sul secondo che ci segui dopo qualche minuto.
Al nostro arrivo fummo avvicinati dai pittori che proponevano ai turisti i ritratti e noi, ringraziandoli, sussurrammo i nomi dei nostri amici in arrivo immaginando che potessero essere interessati.
Gli artisti riuscirono a comprendere almeno uno dei nomi pronunciati in Italiano ed all’arrivo del taxi si precipitarono ad aprire lo sportello posteriore, quello dove era seduto Don Eugenio per invitarlo a sedere per il ritratto.
Simpatico il siparietto tra chi pronunciava “Don Eugenio” con accento francese e chi rispondeva “Ma come ci conosciamo ?” ed evitava il contatto, sicuramente fastidioso, di mani sporche di colore che avrebbero rovinato l’elegante abito del nostro amico.
Sempre elegante e raffinato anche a Mosca e Leningrado, dove però bisognava mettersi in fila anche nei “beryozka”, i negozi dove si potevano fare acquisti con valuta straniera.
Lui escì dalla fila infastidito e chiese a me di fare gli acquisti di souvenir.
“Tu sai che io non voglio subire spintoni vedi tu quello che può piacere ai miei nipoti” e trovò posto su una sedia non lontana dal lungo bancone.
Quello in Urss era il viaggio che aveva sognato e “solo con un compagno di cui mi fido posso andarci” mi ripeteva.
“Ma noi siamo diversi don Eugè, noi abbiamo rotto ogni rapporto” gli dissi e gli ricordai che “Berlinguer al XXV Congresso del Pcus del 1976 dichiarò che noi ci battiamo per una società che garantisce le libertà individuali e collettive, le libertà religiose, della cultura, dell’arte etc.” e continuando “Don Eugè c’è stato lo strappo tra Pci e Pcus”.
E lui “Vabbuò, sempre parenti siete?”
Insomma lui voleva visitare l’Urss ed io ero dovevo essere necessariamente il suo accompagnatore, “strappo o non strappo”.
Capitò che l’Associazione culturale Italia-Urss, presieduta a Salerno dal Dott. Almerico Tortorella, mi propose relatore ad una Conferenza internazionale sulla portualità nella città di Leningrado, oggi Sn Pietroburgo e per noi fu l’occasione di un viaggio anche con altri, tra i quali, oltre a Don Eugenio, il capogruppo del Msi di allora, Gerardo De Prisco e il preside Umberto Landi.
Potrei raccontare mille aneddoti, ma mi preme sottolineare l’atteggiamento di Don Eugenio, rispettoso di quella realtà che era distante mille miglia dalla sua: mai ostile e mai battute banali.
Don Eugenio genuino e spontaneo era dotato di una rara cultura istituzionale e di una notevole capacità comunicativa.
Antonio Manzo ci ha riferito di un appunto che ha un grande valore storico ed io ho voluto ricordare qualche tratto del suo privato, ma si può e si deve scrivere di più di uno di uno politici più amati della nostra provincia.
Andrea De Simone