E’ il primo dei grandissimi ospiti che il Ravello Festival ci presenta, “osando” in questo periodo fatto ancora d’incertezze. Stasera alle ore 20,30 sulla ribalta di Villa Rufolo ci saranno Valery Gergiev e l’Orchestra del Teatro Mariinsky per un programma che spazierà da Rossini a Prokofiev
Di OLGA CHIEFFI
Ritorna la musica a Ravello e ritorna anche Valery Gergiev con la sua orchestra, fatta dalla magnificenza degli archi e dei legni, che si rincorreranno proprio nel brano inaugurale di questo inatteso concerto, la cui notizia è ci è giunta, come un dono solo a fine giugno. Valery Gergiev, salirà stasera, alle ore 20,30, sul podio per dirigere, quasi unicamente con lo sguardo, l’orchestra del Mariinsky, che segue da ben 32 anni, e che torna ospite dopo due stagioni al Festival di Ravello, per un appuntamento ottenuto grazie alla sinergia del direttore artistico Alessio Vlad col Ravenna Festival. S’inizierà dal Gioachino Rossini della Cenerentola, esaltata dallo “spirito” della sinfonia del genio di Pesaro, che riesce a fondere le diverse anime, quella scherzosa e quella drammatica dell’opera: dopo un incipit lento e misterioso, la melodia esploderà in un allegro sinfonico vivace e colorato, cui segue un esteso crescendo che conduce a un finale trascinante, fra i temi che si accavallano, e quello del concertato finale del primo atto “Ma ho timor che sotto terra”, che li domina tutti. Lo Czar ci porterà, poi, in quel luogo (o non-luogo) dell’inconscio e dell’immaginario fiabesco, un bosco abitato da creature misteriose e fatate, non tutte necessariamente benevole, che anche la musica ha provato, a suggerire attraverso i suoni, le melodie, i timbri. Ed è certamente lontano da occhi indiscreti che “nel boschetto bagnato d’accordi” (“au bosquet arrosé d’accords”) avverrà il risveglio del fauno secondo i versi di Stéphane Mallarmé messi in musica da Claude Debussy nel Prélude à l’après-midi d’un faune. Abbozzato nel 1890 su richiesta dello stesso Mallarmé come musica di scena per uno spettacolo che non venne mai realizzato, il Prélude si sviluppò successivamente in forma di poema sinfonico e come tale ha il suo posto tra i fondamenti della scrittura sinfonica moderna. A farne un capolavoro basta soltanto l’incipit in cui il flauto solista disegna il suo avvolgente e ondeggiante profilo cromatico: idea melodica potentissima che immette immediatamente in un clima sospeso tra sogno e realtà, non lontano da Syrinx in cui il flauto si farà espressione di malia incantatrice e sensuale, anelito erotico, malinconia ed estasi, nel 1913. Quindi, un omaggio all’Italia e al grand tour romantico di cui Ravello era tappa, con la Sinfonia n. 4 di Felix Mendelssohn-Bartholdy, “Italiana”, opera definita dallo stesso autore come “il lavoro più gaio che io abbia mai composto”. Frutto delle impressioni avute da Mendelssohn nel corso del viaggio in Italia del 1831, la sinfonia è un “guizzo scintillante di luce mediterranea”, quanto mai desiderato e appropriato a descrivere in musica l’Italia più bella, di ieri e di oggi. Il piglio brillante e l’animata eccitazione del primo tempo non intaccano la raffinata costruzione di una forma-sonata specialmente ricca di proposte e di sfumature, e lavorata con profonda attenzione anche dal punto di vista contrappuntistico. Il secondo tempo è costruito su un canto di processione, passaggio quasi obbligato nelle escursioni musicali italiane dei romantici, col suo carattere vagamenente popolaresco, con certi suoi andamenti di danza, col suo sapore, talvolta, modale. Scorrevole e melodico risulta anche il terzo tempo Con moto moderato, che acquista vaghezza dall’indecisione intrinseca del modulo metrico utilizzato, ben definito e tuttavia oscillante fra il minuetto, lo scherzo e persine il valzer. Il Saltarello rende un omaggio conclusivo, fresco e scintillante, al mito di una latinità solare, orgiastica, impetuosa. Finale di serata affidato alla Prima Sinfonia di Sergej Prokof’ev, detta la “Classica” caratterizzata da una tensione che si avverte nitidamente nella pagina del compositore russo, impegnato a cercare una sintesi tra il classicismo di Haydn e uno stile personale, fatto di humour e spunti ritmici tipicamente novecenteschi. I quattro tempi della Sinfonia seguono con rigore la successione del modello classico: così, al primo tempo in forma di sonata, segue un Larghetto intimamente espressivo e appena increspato di nostalgia, con, fra le righe, un timido accenno di ironia. Il terzo tempo, una Gavotta sull’esempio stilizzato delle danze di corte settecentesche, è una vera gemma, che ha poi nel Finale impetuoso e spumeggiante, il rituale lieto fine.