Non facciamo altro che associare il primo maggio a un giorno di vacanza, segnato in rosso sul calendario: in un attimo siamo tutti sollevati e l’unica cosa che pensiamo è ” finalmente domani a casa!”. Quest’anno a casa ci siamo da oltre 50 giorni……
Di Sonia Aiello
Come tutti noi sappiamo, il primo maggio viene celebrata la Festa dei Lavoratori in molti Paesi del mondo per ricordare le lotte intraprese in nome dei loro diritti. Celebrarla durante il corso di quest’anno, credo sia una cosa fondamentale: è ormai diventato un nostro dovere festeggiarla, poiché molti- medici, infermieri, politici, carabinieri e poliziotti-continuano a lavorare, mettendocela tutta per assicurare, a tutti noi Italiani, la pace e la salute. C’è una frase che mi colpisce particolarmente, pubblicata nel 1890, sulla rivista La Rivendicazione, in occasione di una delle celebrazioni di questa giornata: “Il primo maggio è come una parola magica che corre di bocca in bocca, che rallegra gli animi di tutti i lavoratori del mondo, è parola d’ordine che si scambia fra quanti si interessano al proprio miglioramento…”. “E’ come una parola magica”, è proprio questa definizione che mi spinge a riflettere; da che è nata questa festa viene celebrata proprio perché i lavoratori riuscirono ad ottenere quei diritti che a noi sembrano scontati. Immaginate come sarebbe bello se tutti noi ci fermassimo a pensare, anche solo per un attimo- quando stiamo studiando o cucinando, quando siamo al computer, quando stiamo leggendo un libro o anche quando tutta la famiglia si riunisce a tavola- a quanto quei lavoratori, tanto tempo fa, abbiano lottato per i nostri diritti. In molti hanno perso la vita, in molti hanno perso la famiglia e in molti hanno perso la loro anima per raggiungere la meta e, invece, noi, spesso, non facciamo altro che associare il primo maggio a un giorno di vacanza, segnato in rosso sul calendario: in un attimo siamo tutti sollevati e l’unica cosa che pensiamo è ” finalmente domani a casa!”. Quello che vorrei dirvi, il messaggio che vorrei far arrivare a chi ora legge è molto semplice, forse anche troppo: noi a casa ormai ci stiamo da cinquanta giorni, ma c’è chi purtroppo non ci tornerà prima di mesi o chi non ci tornerà affatto. Continuiamo a lamentarci perché non possiamo uscire, perché non possiamo riprendere le nostre consuete attività o perché non possiamo andare al bar (tutti, salvo chi ha continuato ad andarci o ha ben accolto l’idea di andare a correre, senza pensare che quell’uscita avrebbe contribuito alla morte di altre persone). Questo è l’insegnamento che ognuno di noi dovrebbe trarre da questa quarantena, tutti noi speriamo in un “finalmente domani non a casa”. Sono stata molto contenta di aver potuto riscoprire le piccole gioie della vita familiare che prima davo per scontate, ma non vedo l’ora di riprendere il mio percorso di studi in presenza, non vedo l’ora di vedere mio fratello laurearsi all’università, non vedo l’ora di rivedere mio padre e mia madre tornare stanchi da una giornata estenuante di lavoro e che nonostante ciò dicano:” come è andata oggi a scuola? Cosa avete fatto?”, e prometto solennemente – parola di scout- che non mi limiterò mai più a rispondere, com’era mio solito, con un “bene” o un “niente”. Un futuro migliore arriverà, ce lo meritiamo, non solo come Italiani, ma come esseri umani. Ripartiremo senza spaventarci, perché, come recita il primo articolo della Nostro Costituzione “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” e, come afferma Benigni, la nostra è la Costituzione più bella del mondo.