Questa sera, alle ore 20, il teatro Verdi ospiterà il pianista Bruno Canino in trio con i germani Raffaella e Gennaro Cardaropoli
Di Olga Chieffi
Ultimo concerto per il cartellone cameristico del Teatro Verdi di Salerno, che questa sera, alle ore 20, accenderà i riflettori sul maestro dei cameristi italiani, il pianista Bruno Canino, che si presenterà in trio, con due gemme del magistero salernitano e allo stesso tempo, internazionale, la violoncellista Raffaella Cardaropoli, con il fratello Gennaro al violino. La serata saluterà l’esecuzione della Sonata in Re Maggiore op.58, composta da Felix Mendelssohn Bartholdy tra la fine del 1842 e l’estate del 1843, dedicata al conte russo Mathieu Wielhorsky, nobile dilettante e mecenate. Beethoveniana è la scelta di posporre l’Adagio al tradizionale scherzo (qui sostituito da un Allegretto scherzando): in questo modo è possibile marcare il contrasto tra il movimento lento e quello finale. Una forte spinta propulsiva caratterizza l’intero movimento iniziale (Allegro assai vivace). L’Allegretto scherzando ci trasporta in quel mondo misterioso e fatato evocato da tante opere mendelssohniane: a suggerirlo è soprattutto l’alternanza tra il suono pizzicato dello strumento ad arco e quello staccato del pianoforte; a questa sonorità in punta di piedi il violoncello oppone un secondo tema solare e dal piglio nobile eseguito interamente con l’arco. Solenni accordi arpeggiati del pianoforte introducono invece l’Adagio in un’atmosfera quasi da corale religioso; su questo accompagnamento fa il suo ingresso il violoncello, ora vero protagonista, che con la sua voce calda si lancia in un accorato recitativo; l’epilogo è affidato al pianoforte su una lunga nota tenuta del violoncello. Ma ecco che l’incipit drammatico del finale (Molto allegro e vivace) ci fa sobbalzare e il clima spirituale del movimento precedente si interrompe bruscamente; subito però le nubi si diradano e prevale un tono più leggero che, con l’avvicinarsi della coda conclusiva, lascia spazio ad una vera e propria rincorsa verso l’ultimo accordo. Gennaro Cardaropoli, si cimenterà invece con la Sonata op.18 in Mi bemolle di Richard Strauss. Sebbene sia una composizione giovanile che risente di influenze varie, non ultima quella di Brahms, Strauss ci mette già molto del suo. Soprattutto una certa insofferenza per le forme classiche che fa apparire eccentriche certe soluzioni di introduzione ai brani o particolarmente prolungate alcune esposizioni tematiche. Tipica della Sonata in questione è poi la presenza di riusciti “effetti” dal notevole impatto uditivo e una certa inclinazione al virtuosismo. Se da una parte quest’ultimo elemento denota una ricerca di consenso da parte del pubblico, dall’altra le soluzioni più effervescenti vanno d’accordo col carattere esuberante tipico della creatività di Strauss. C’è nel finale di questa pagina, il grande uomo di teatro. Difficile non farsi trasportare da un abbraccio sonoro tanto avvolgente. I tre strumentisti si ritroveranno nel Trio in si maggiore op. 8, finito di comporre da Johannes Brahms nel 1854, prima vera composizione del genio di Amburgo, che una trentina di anni dopo la revisionò radicalmente durante un suo fecondo periodo creativo. Brahms scriveva a Clara Schumann a tal proposito: “Non puoi immaginare con quale fanciullaggine ho trascorso i bei giorni estivi. Ho riscritto il mio Trio in si maggiore e posso chiamarlo op. 108 invece che op. 8. Non sarà più rozzo come prima – ma sarà migliore?”. Nella nuova versione non solo apparivano risolti alcuni problemi di squilibrio formale e accorciate sezioni ridondanti, ma si appianavano anche certe asperità di stile Sturm und Drang e si smorzava lo slancio emotivo. Il Trio non sembrava più opera di ‘Johannes Kreisler Junior’; d’altronde Brahms aveva abbandonato quello pseudonimo di ispirazione romantica e schumanniana ormai da molto tempo. Le novità più profonde della nuova versione si trovano negli sviluppi, che divennero più agili e stringenti: il seducente materiale tematico restò per lo più intatto. L’Allegro con brio, ad esempio, conserva il suo tema iniziale, dalla liricità struggente, ma conta su un nuovo secondo tema: aumentando il contrasto tra le due idee musicali il compositore ottiene una tensione maggiore. Lo Scherzo è di una leggerezza che ricorda le pagine fatate di Mendelssohn: alla scrittura in punta di dita dell’episodio iniziale si contrappone la morbida e distesa cantabilità del Trio centrale. Se lo Scherzo rimase sostanzialmente invariato, l’Adagio subì dei cambiamenti decisivi che fecero sbocciare tutta la sua bellezza: qui non ci sono opposizioni o contrasti, la musica procede estatica come una preghiera serale, sappiamo purtroppo, dai due archi, stasera, a chi rivolta.