Di Antonia Willburger
Quella domenica di novembre ero sola in casa nella bella casa di Raito a getto sulla costa. Avevo 16 anni e i miei genitori erano andati a cinema a Salerno, al Mini, una sala piccola ove si potevano godere veramente i film senza ressa. D’un tratto un enorme boato e mi ritrovai al buio con la libreria che sembrava volesse cedere al forte sisma, ma così non fu. Mi accodai allo sciame dei vicini urlanti, per le scale del paese dove ci siamo stretti per far fronte comune contro il nemico invisibile. Vedevo Salerno dall’ alto avvolta in una strana nuvola, bruno rossastra, ma io ero avvolta dall’oscurità. Andai in panico perché pensavo ai miei genitori e notizie non ne arrivavano dal capoluogo, non avevo nessuna idea cosa fosse successo ai miei genitori, cominciai a cedere al pianto e allo sconforto, in attesa di incrociare lo sguardo dei miei. Il tempo non passava mai e l’angoscia m’attanagliava sempre più , quell’ora che trascorsi insieme ai vicini e a tutti gli abitanti di Raito sembrò infinita. Ma mentre ero seduta sulle scale senti finalmente la voce di mio padre che mi chiamava, passai il dorso della mano sugli occhi ed rientrammo in casa per controllare se tutto fosse a posto, prima di trascorrere la notte tutti insieme nella Renault arancione.