Questa sera, la formazione voluta dal Conservatorio di Salerno e il Liceo Alfano I vedrà riuniti sul palcoscenico del Teatro Verdi, alle ore 20, i più talentuosi giovani della città diretti da Nicola Samale
Di OLGA CHIEFFI
Il palcoscenico del Teatro Verdi di Salerno terrà a battesimo stasera, alle ore 20, l’Orchestra Verticale, una formazione, che raccoglierà in seguito alunni con spiccate capacità musicali delle scuole medie ad indirizzo musicale, dei licei musicali della provincia di Salerno e del Conservatorio G. Martucci di Salerno. L’atto di nascita di questa orchestra è stato “firmato” nel foyeur del massimo cittadino dal Dirigente scolastico del Liceo Statale “Alfano I “di Salerno Elisabetta Barone e dal Direttore del Conservatorio “G. Martucci” di Salerno Imma Battista, unitamente all’esperto Maestro Nicola Samale, che la guiderà. La formazione sarà, per questa volta, composta interamente da allievi del Liceo Alfano I che, contemporaneamente, studiano anche al Martucci, con l’inserimento di qualche giovane maestro, per dar sostegno a parti e leggii di maggior difficoltà. “Il prossimo anno – ha affermato il segretario artistico Antonio Marzullo – daremo la possibilità a più allievi di fare delle selezioni e la bacchetta sarà quella di Daniel Oren”. Adatto ai giovani strumentisti il programma scelto, a cominciare dall’Ouverture de “Il Matrimonio Segreto” di Domenico Cimarosa, che presenta una compagine tipica dell’opera italiana di fine Settecento, con un uso assai parco degli strumenti a fiato che non vengono tanto valorizzati per le loro specificità e dunque per il loro colore, ma impiegati in quanto “gruppo”, finalizzato a produrre massa orchestrale. Per esempio, i fagotti sono relegati alla funzione di raddoppio dei bassi; i corni e i flauti, quasi mai utilizzati per le loro caratteristiche idiomatiche, finiscono per lo più per essere risucchiati dall’insieme. La sinfonia è introdotta da un Largo che occupa non più di tre misure: lo spazio sufficiente per marcare con tre lunghi accordi in battere (preceduti da un levare in semicroma) l’accordo di tonica di cui vengono messe in rilievo le tre note fondamentali (Re, Fa, La). La versione finale dell’Allegro è in forma di sonata con esposizione, sviluppo e ripresa. Seguirà, l’ouverture da “Il barbiere di Siviglia” di Giovanni Paisiello, che immerge subito, col suo carattere gaio e brillante, nell’atmosfera dell’opera. L’inizio in piano è piuttosto raro nelle sinfonie d’opera di Paisiello, che prediligeva di gran lunga gli inizi incisivi e sonori, evidentemente più adatti alla funzione di “richiamo”. Il brano, come è tipico delle sinfonie in un movimento del tempo, presenta l’organizzazione tonale e l’articolazione formale di una forma-sonata, con un brevissimo sviluppo e una ripresa accorciata. Nello sviluppo, la strumentazione è ridotta ai soli archi (forse un’eco del movimento centrale dell’ouverture in tre movimenti). Si passerà, quindi al Wolfgang Amadeus Mozart della Sinfonia n. 7 in Re maggiore K 45, composta a soli 12 anni, che rivela la mescolanza dello spirito viennese con il peso dell’eredità italiana, che ancora a tratti, fa da contrappunto alle idee innovative del piccolo genio salisburghese. Chiusura affidata al Joseph Haydn della Sinfonia n. 44 in Mi Minore “Trauersymphonie”, considerata la più famosa del gruppo, assieme alla celeberrima Sinfonia degli Addii n. 45. Questa sinfonia è quanto mai esemplificativa del periodo haydniano cosiddetto dello “Sturm und Drang” culminante nel biennio 1771-72. Non si conosce la ragione di un tale lugubre appellativo, certamente non dovuto all’autore, ma ad ottocenteschi commentatori. Più giustificabile, semmai, l’appellativo di Canone Sinfonìa attribuitole dal padre Werigand Rettensteiner che lo annotò su una copia della partitura, in riferimento al Canone in diapason (in ottava) del secondo movimento (Minuetto). Si è però legittimato, nei secoli, il titolo di questa Sinfonia, che segna uno strano matrimonio fra forma antica e nuovo stile, ovvero tra le tecniche contrappuntistiche barocche e il nuovo formalismo viennese, con la predilezione di Haydn per l’Adagio, che sembra avrebbe voluto eseguito ai suoi funerali. La pagina si apre con un Allegro con brio dal perentorio e dinamico tema di quattro note, asciutto e scarno. Il Minuetto (Allegretto), inserito a sorpresa tra l’Allegro e l’Adagio prende vita da una imitazione all’ottava (“Canone in diapason” secondo la grecizzante terminologia della trattatistica specializzata) tra violini e bassi a distanza di una battuta. Solo il Trio in maggiore reca un’oasi più serena nella soffusa malinconia che pervade questo movimento. L’Adagio in mi maggiore, dalla tersa cantabilità, è pagina di grande respiro espressivo che non tralascia tuttavia, nella seconda parte, l’esplorazione di regioni tonali inattese. Infine il Presto dalla orditura rigorosamente contrappuntistica, che ripropone gli sviluppi monotematici e ritmicamente caratterizzati del movimento d’apertura, accentuandone i connotati dionisiaci e catartici.