Questa sera, il chitarrista Valerio Celentano e il contrabbassista Marco Cuciniello presenteranno nella Sala San Tommaso, alle ore 20,30, il loro ultimo progetto dedicato alla musica sudamericana
Di OLGA CHIEFFI
Si fanno chiamare il duo “Chi Asso”, poiché il contrabbasso imperversa, lo dice anche il Maestro di Cappella “Maledetto contrabbasso”, ma stasera, alle ore 20,30 nella Sala San Tommaso, nella nostra cattedrale, lo “strumentaccio” di Marco Cuciniello, incontrerà la chitarra di Valerio Celentano, per proporre al pubblico dei “Concerti di Primavera”, organizzati dall’Associazione Culturale Arechi di Sergio Caggiano, il nuovo progetto “Sul Sur – A South American Anthology” , disponibile per l’etichetta dotGuitar.it e acquistabile on line su più di trenta stores tra cui ITunes, Spotify, Amazon, Dezeer. Il disco, che porta in calce la guida d’ascolto e la “benedizione” del chitarrista Antonio Grande è un raffinato florilegio di danze caratteristiche, composte da autori quali il carioca Ernesto Julio Nazareth o il chitarrista paraguagio Augustin Barrios, o ancora Jorge Morel, chitarrista argentino, che strizza l’occhio ai ritmi jazzistici, sino a Paulinho Nogueira, chitarrista e didatta brasiliano, passando per lo scrittore e cantante Atahualpa Yupanqui, nel cui nome è racchiusa la sua ragion di vita “Colui che racconta storie”. In questi brani potremo apprezzare le influenze indigene sui vari compositori, che viene associata ad altri sistemi compositivi, dal sistema tonale portoghese a quello ritmico, all’adozione in misura massiccia della sincope. Riconosceremo il choro, forma nuova che si vuole risalente ad origini negre, o comunque autoctone o il tango brasileiro, libertà notevole in questa composizione che lo stesso autore definì: “Una nuova forma di composizione musicale, in cui si aspira ad una sintesi dei diversi tipi di musica brasiliana indiana e popolaresca, e che rispecchia nelle sue parti costitutive il ritmo e le melodie caratteristiche del popolo, che vengono continuamente trasformate dall’ispirazione individuale del compositore. Batuque, Odeon, Resignaçao, composti da Ernesto Julio Nazareth, titoli camuffati, che nascondono il samba, poiché anche questa forma, come il tango e il jazz è musica di minoranza che, come chi l’ha prodotta, è stata bandita e disprezzata in mille modi e ha dovuto, per buona parte della sua storia, cercare di sopravvivere, spiegare e difendere la propria esistenza. Infatti, agli inizi del Novecento le autorità incaricate dell’ordine cittadino, vedevano nel malandro e nel sambista, lo stesso elemento sociale perturbatore che in epoca coloniale incarnava il negro capoerista, quasi sempre schiavo o ex-schiavo, ma il samba la voce del popolo che “scende” dalla collina alla città ha vinto la battaglia divenendo simbolo di una dialettica, che è racchiusa interamente in quella scala discendente caratteristica della musica latina e del ritmo esasperato di questa musica. Matrici carioca per un canto sempre sinuoso, avvolgente, carico di sviluppi e di scotimenti ritmici, che vola attraverso la molteplicità e la varietà dell’invenzione, la suggestione dei suoi momenti lirici, che sfociano nell’omaggio al genio bachiano con Paulinho Nogueira e la sua Bachianinha n°1, o nella costruzione de’ La Catedral di Barrios, con le forti connotazioni tardo romantiche, nel quale Barrios dispiega la sua meravigliosa e toccante cantabilità, dopo aver ascoltato dalla Suite andina Aire de Zamba e Aconquija. I nostri due viaggiatori disegneranno mappe, proprio come accade per i monti, i fiumi, le pianure. Sarà, però, una cartografia musicale che sovvertirà le certezze, invece di fissare coordinate precise. Niente è più fluido ed evocativo di un paesaggio acustico, perché dai suoni trapelano storie, con la loro densità affettiva e la loro costitutiva eccedenza, rispetto al tempo e ai luoghi. Niente è più vibrante di un corpo d’acqua, sulle cui rotte avviene la diaspora di ritmi, melodie, vocalizzi, tonalità: “Un’ infinità di tracce accolte senza beneficio di inventario” scriverebbe Antonio Gramsci. La sensualità dei suoni, la memoria musicale millenaria che custodiamo, e le appartenenze che mettono in gioco i due strumentisti, ci convinceranno che l’importante non è tanto avere una casa nel mondo, bensì creare un mondo vivibile in cui sentirsi a casa.