Erika Noschese
«Le sconfitte, quando sono così nette si commentano da sole». A dichiararlo è Nicola Landolfi, ex segretario provinciale del partito democratico, commentando la sonora sconfitta dei dem, sia a livello nazionale che locale. «I numeri sono molto più espliciti di qualsiasi commento. Bisogna prendere atto e ricominciare daccapo con il partito democratico all’opposizione, augurandoci che ci siano forze in campo, dal punto di vista nazionale, in grado di costituire un governo anche se mi sembra che la cosa, in questo momento, non sia per niente scontata e anche quelli che hanno preso più voti del partito democratico abbiano difficoltà a proporre una maggioranza parlamentare». Il segretario nazionale Matteo Renzi ha annunciato le sue dimissioni. Cosa pensa di questa scelta? «Di fronte ad una sconfitta così netta credo sia un atto dovuto e gli va dato atto di averlo fatto con responsabilità. Probabilmente, visto che la situazione politica è estremamente confusa, forse una discussione interna – e non un dibattito alla Moretti, per intenderci – ma rapida ed essenziale è necessaria in questo momento per portarci a confermare questa linea dell’opposizione non sarebbe stata una mossa sbagliata. Cioè, Renzi si dimette ma poi dice: apriamo una fase congressuale dopo la formazione del governo. I tempi di inversione di marcia del partito sono un po’ troppo vaghi e un po’ troppo lontani. A me spaventa l’idea di dover affrontare quest’anno, o all’inizio dell’anno prossimo, un nuovo congresso attraverso il metodo delle primarie. Io accelererei e proverei ad affrontare la questione perchè perdere nettamente da un lato ci penalizza ma dall’altro ci potrebbe liberare e consentire di rifondare anche l’idea del partito democratico perchè abbiamo bisogno di un nuovo congresso ma non credo più al metodo delle primarie. Io proverei a fare un congresso di quelli che si fanno nei grandi partiti democratici ma che hanno la cultura democratica che abbiamo noi per inseguire il modello americano. Noi tra primarie, elezioni e amministrative e chiamiamo la nostra gente a votare 4 volte l’anno. Farei una discussione più classica: un congresso che non parta dal segretario nazionale ma dalla base, dalla linea politica perchè è così che i partiti democratici devono tornare a organizzarsi, secondo me. Ed è uno dei motivi per cui, soprattutto in alcune zone del Paese, ci siamo allontanati dall’opininone pubblica che, alle elezioni politiche, fa scattare riflessi che non sono condizionati dal territorio ma dalle tendenze nazionali. Si deve ritornare a parlare di politica nazionale nella base. E per questo, affretterei la riforma politica del partito».