Stasera sul palcoscenico del teatro Verdi sarà di scena “Il giocatore” di Fedor Dostoevskij nella rilettura di Gabriele Russo
Di OLGA CHIEFFI
Il teatro Verdi accenderà stasera i suoi riflettori, alle ore 21, su Il giocatore, tratto dal romanzo di Fëdor Dostoevskij. L’opera è il terzo atto di una ideale trilogia della libertà, dopo lo schizzo della società dispotica del visionario Arancia Meccanica e l’opprimente ospedale psichiatrico di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Diretta da Gabriele Russo, la pièce riprende fedelmente la struttura narrativa di Dostoevskij. Siamo a Roulettenburg, una cittadina fittizia della Germania. Il giocatore narra di un giovane precettore, Aleksej Ivànovic (Daniele Russo), che perde interesse nei confronti di tutto ciò che lo circonda. In nome di un’unica passione, alienante e dispotica: il gioco d’azzardo. La vicenda si svolge in un’atmosfera affascinante e atemporale, tra baroni tedeschi, francesi manipolatori, gentlemen inglesi. Ivànovic è follemente innamorato della giovane Polina (Camila Semino Favro), figliastra di un generale russo. Amore, tuttavia, non ricambiato. Sullo sfondo agiscono altri personaggi particolarmente caratterizzati. Il generale russo, interpretato da Marcello Romolo, a sua volta innamorato perdutamente di M.lle Blanche (Martina Galletta). Attorno a questo nucleo agiscono l’inglese Mr. Ashley (Alfredo Angelici) e il marchese De Grieux (Sebastiano Gavasso), con Paola Sambo è Antonida Vasil’evna, la baboulinka che spezzerà l’equilibrio intorno al tavolo da gioco della vita. Non è facile mettere mano ad un capolavoro della letteratura che pur nasce da un’ urgenza interiore, quasi venisse offerto al lettore come una sorta di individualissima resa dei conti. Sono pagine con significative incongruenze narrative come titoli nobiliari che cambiano disinvoltamente, conversazioni contraddette, denari di cui non si riesce a tenere un conto preciso, albe luminose che si traducono, e a distanza di poche righe, in mattinate piovosissime, che però non inceppano mai il ritmo del racconto, contribuendo a scansare impasses che avrebbero ritardato la corsa verso uno scioglimento sempre annunciato e sapientemente rinviato fino all’epilogo. Al di là della rilettura teatrale, (ricordiamo il film con Gregory Peck ed Ava Gardner “The Great Sinner” e la magistrale opera di Sergej Prokofiev) Il giocatore farà riflettere, a distanza di oltre centocinquanta anni, attraverso la descrizione al cesello dell’uomo dell’età capitalista, sul disorientamento e l’instabilità sociale, provocati dall’irruzione della mentalità capitalista e del denaro, definito da Dostoevskij una merce monopolizzata dall’usuraio-mercante, che assume un duplice significato, materiale e metafisico. Nell’epoca del capitalismo trionfante, il denaro regola tutte le relazioni umane e, in virtù di esso, nessun ostacolo sembra più insormontabile. La questione che tormenta Dostoevskij, che è poi alla base della tragedia della modernità, è quella di vivere degnamente nella libertà in un contesto sociale dominato dalla speculazione e dalle oscillazioni del denaro folle, in assenza di una “idea superiore”. Una società basata esclusivamente sul denaro è destinata a crollare: il denaro, secondo Dostoevskij, si smaterializza fino alla divinizzazione, diventando una variabile capricciosa e indipendente dall’economia, la “potenza dispotica” di una metafisica secolarizzata che innalza a idola tribus la mediocrità e la volontà di ignoranza. La “via del denaro” è l’unica capace di condurre al vertice della società una emerita nullità: il dispotismo del denaro, infatti livella tutte le ineguaglianze, annichilendo tutti i prodigi della bellezza e dell’intelligenza. Il mondo dominato dalla potenza dispotica del denaro somiglia a Roulettenburg, la città immaginaria nella quale è ambientato “Il giocatore” e che può essere considerata una sorta di distopia che svela i paradossi terminali del mercato d’azzardo. Per Dostoevskij, Roulettenburg è destinata a crollare, ai suoi tavoli è seduta l’Europa.