Da questa sera è in scena al Teatro Verdi il classico di Luigi Pirandello “Sei personaggi in cerca di autore”, con Eros Pagni e Gaia Aprea, per la regia di Luca De Fusco
Di OLGA CHIEFFI
Era il 1921 quando “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello debuttava al Teatro Valle di Roma, suscitando non poche polemiche e ora, uno degli indiscussi capolavori del premio Nobel italiano torna sul palcoscenico del teatro Verdi, da giovedì alle ore 21, nell’ allestimento realizzato dai teatri nazionali di Napoli e Genova, per la firma di Luca De Fusco. Mancano pochi anni al centenario della prima edizione e quasi si fatica a contare gli innumerevoli adattamenti che hanno tentato di darne rappresentazione; addirittura in talune aule universitarie qualcuno affermò che il dramma pirandelliano non fosse fatto per la scena, che le suggestioni del testo fossero talmente proprie alla letteratura al punto che nessun regista sarebbe stato in grado di strapparle alla densità della pagina scritta. Chiunque decida di affrontare i Sei personaggi è consapevole sin da subito di dover fare i conti con uno specifico scarto, quello tra testo e scena, teoria e pratica, vettori di un lavoro che per quanto possa scegliere di abbandonarsi alla sperimentazione resta invischiato nelle parole, crudeli nell’accezione artaudiana, dell’autore di Girgenti. Luca De Fusco per la sua ultima rilettura di quest’opera chiede aiuto, per timore di idiosincrasia col terzo Millennio, al linguaggio cinematografico. I personaggi, infatti, provengono dallo schermo, come gli attori di Woody Allen schermo qui di un film horror o espressionista, che anticipa, per frammenti filmici, porzioni di trama. Il pubblico salernitano, sette anni dopo la messinscena al Verdi di Giulio Bosetti, sarà di nuovo stimolato dalla vicenda dei sei Personaggi, che irrompono durante la prova di uno spettacolo davanti al Capocomico, cercando invano un autore che sia in grado di fissare in testo il loro imperituro dramma. Ma il risultato sarà solo lo stridente contrasto fra l’arte, così come la intende il Capocomico, la recitazione imperfetta e ridicola dei vanitosi attori e l’assoluta ricerca di verità dei Personaggi. La finzione di sorprendere le figure del teatro (regista, attori, macchinisti, suggeritore, trovarobe, elettricista, ecc…), in un momento in cui quello che sarà spettacolo, divertimento, degustazione d’arte per il pubblico, si presenta, invece, come lavoro e il lavoro come vero antefatto della magia teatrale, non è acquisizione di poco conto per demolire una nozione naturalistico-imitativa del teatro, o una nozione magica di esso. Chiamiamo metateatrale questa messa in scena della finzione che denuncia l’esistenza di un codice e ne svela il carattere convenzionale: questo teatro “di secondo grado” che mette in scena il modo come il teatro mette in scena non la realtà ma una delle tante possibili rappresentazioni della realtà; in cui il teatro non parla della realtà ma di sé come mediatore formalizzato della realtà, con le sue regole, convenzioni, codice. Allestimento sorretto da una solida compagnia di attori, fra cui il Padre, cui darà voce Eros Pagni, la rabbiosa Figliastra delineata da Gaia Aprea, l’addolorata Madre di Federica Granata e l’autorevole Capocomico di Paolo Serra. Prezioso cameo per Angela Pagano nei panni di Madama Pace. La recitazione anima con asciuttezza e rigore la scena essenziale in cui risulterà determinante il ruolo delle luci: di grande impatto risulta l’entrata in scena dei Personaggi che assume carattere di spettrale apparizione. Un’essenzialità che entra volutamente in contrasto con la complessità del dramma che mette continuamente in scena gli arcani e le difficoltà (insuperabili) del processo creativo.