Successo di critica e pubblico per la pianista vietrese in rècital nella chiesa di Santa Apollonia
Di OLGA CHIEFFI
Rubiamo il titolo all’ultima opera del nostro amico di Cordoba, il sassofonista Javier Girotto, per riferire del pregnante rècital della pianista vietrese Marina Pellegrino, protagonista di una serata promossa dal Comune di Salerno e organizzata da Estate Classica, in uno dei luoghi simbolo della performance artistica, la chiesa di Santa Apollonia. Questo contenitore d’arte gestito dalla Bottega San Lazzaro ha formato negli anni un pubblico attento ed esigente, un palcoscenico non facile, per il quale Marina Pellegrino ha allestito un programma di grande difficoltà tecnica e interpretativa, incentrato sul repertorio romantico. Il rècital è principiato con lo Schubert del terzo dei quattro Improptus op.142, un Andante con variazioni, nel segno di un pianismo essenzialmente d’agilità, supportato da una analitica musicalità, ricca di forti intuizioni. La sonata di Domenico Scarlatti K146 in Sol Maggiore ha sposato le variazioni di Johannes Brahms su tema di Haendel, scelte per il finale della serata. La pagina è stata trattata con grande esuberanza coloristica, quasi romantica, in perfetta linea con il resto del programma, ma mai trascurando la valorizzazione a tutto tondo della gemma clavicembalistica, rendendo con brio, la scrittura ritmica e il decoro degli abbellimenti. La prima parte della serata è stata chiusa dalle tre romanze op.28 di Robert Schumann. E’ proprio con quest’opera che abbiamo pensato alle Escenas en Solo poiché la Pellegrino ha “inscenato” un personalissimo dialogo col pianoforte per rendere il discorso schumanniano. Un dialogo incalzante nel suo serrato contrasto di dinamiche ed espressioni, di riflessioni oniriche e frementi soprassalti, in cui la pianista ha puntato a porre in immediato rilievo innanzitutto la carica emozionale di queste miniature. Sono state così le dimensioni del sogno e della fantasticheria, dell’evocazione, dell’allusione poetica a essere privilegiate, sino ad essere catturata e stregata dall’armonia risonante di qualche accordo. La seconda parte della performance è stata inaugurata dalla Suite op.14 di Bela Bartòk, di cui abbiamo colto la violenza armonica che la solista ha restituito con nitore e rigore, continuando a scavare nicchie di stupore fonico, sospese fra mobilità e immobilità, manifestazione dell’essenza del suono, con cui il genio rumeno congeda definitivamente l’eloquenza ottocentesca. Finale affidato alle monumentali Haendel Variations and Fugue op.24 di Johannes Brahms. Una fatica d’amore, come è l’arte tutta, attraversata dalla pianista con una lettura chiara e ordinata, ben respirata, intensa, quanto fluente, con una resa espressiva di tutto rispetto, tanto che le oasi liriche, con eloquio largo, sono state molto ben evidenziate, in una interpretazione approfondita e personale. Applausi scroscianti e un liberatorio bis, in cui Marina Pellegrino ha ripreso a giocare con le sue lune. La pianista si è regalata il Clair de lune di Claude Debussy, assecondando la sua inclinazione al colore, alla nuance, a quell’approccio stemperato e vagamente ipnotico esaltato da un suono trasparente e vivificante.