La prossima volta che vi imbatterete in un infermiere o un operatore sanitario nervoso e scostante, non prendetevela con lui. A meno che non si tratti di uno dei tanti sfaticati/maleducati che pullulano la pubblica amministrazione, l’infermiere stressato che vi ha risposto male o ha mandato a quel paese il vostro anziano genitore giacente in chissà quale corsia, ha dalla sua almeno una ragione: non può fare anche il lavoro altrui, il suo già è complicato, ha a che vedere con la pelle degli altri, c’è da stare con quanti più occhi aperti possibile.
Il punto è, però, che lo stesso infermiere maledice sovente il blocco delle assunzioni, del turn-over o di ogni altra diavoleria politico-burocratica che impedirebbe l’ingresso di energie fresche in corsia: sbagliando bersaglio. E se invece cominciassimo a cacciare a pedate dagli uffici amministrativi i circa 350 tra infermieri ed operatori sanitari della sola Asl di Salerno? Non sarebbe una panacea, forse, ma neppure sarebbe male che chi è stato assunto per affiancare i medici nella cura dei malati faccia “l’assistente amministrativo” al caldo (ora, al fresco) di un bell’ufficio dove più che passare qualche carta da una scrivania all’altra non può fare visto che non è quello il suo mestiere e visto che di impiegati ce ne sono fin troppi. E allora, come mai accade e perché ce ne sono così tanti nel salernitano, cioè quasi il 10% del totale degli infermieri assunti (senza considerare il Ruggi)? Perché siamo in Italia, meglio, in Campania, dove una sacrosanta legge che tutela il lavoratore impossibilitato per “malattia” a svolgere la propria mansione, si trasforma nella solita caciara senza che nessuno tra i miliardi di dirigenti e funzionari di vertice corra ai ripari: del resto, loro che dovrebbero controllare, sono pure gli stessi che autorizzano tanta discriminazione tra lavoratori, per non dire altro.
Precisamente sono 340: 217 infermieri in senso lato e 123 operatori sanitari di altra natura, su poco meno di 3000 complessivi (compresi capisala, vigilatrici d’infanzia e puericultrici). Uno scandalo, che dura da tempo. La legge contempla la possibilità di farsi trasferire negli uffici, dove la vita è senz’altro più comoda rispetto a cateteri da infilare, flebo da controllare e medici da assistere in reparto o in ambulatorio: siamo (quasi) certi che se andassimo a controllare ogni singola posizione di questo esercito di amministrativi per caso, troveremmo tutto in regola, ognuno avrà il suo buon certificato medico attestante l’impossibilità di stare in corsia. Un po’ come accade a Capodanno con i vigili urbani, per capirci: anche loro hanno sempre il certificato medico.
Solo che la stessa legge dice pure che ove si eserciti questa opzione, il dipendente debba essere retrocesso di livello lavorativo e, di conseguenza, non possa più ottenere l’indennità professionale specifica da infermiere. E qui casca l’asino perché i 340 “amministrativi” questa indennità continuano a percepirla: il contratto collettivo la fissa in 433,28 euro annui a partire dall’1 gennaio 2004 (prima era di 340 euro circa). Da 13 anni, dunque, l’Asl paga questa somma, siamo già a quasi 1,5 milioni di euro erogati senza titolo e se nel computo generale ci mettiamo pure gli operatori sanitari generici arriviamo sotto ai 2 milioni: importi che di questi tempi risolverebbero qualche problemino. Alcune settimane fa la Uil di settore ha denunciato la cosa. Con scarsi risultati, sia mediatici che concreti: sul primo caso stendiamo il famoso velo, sul secondo non ancora. Sapete quale è stata la risposta dell’Asl? Una bella commissione ad hoc che studi, rifletta e rielabori i dati, fornendo la soluzione. Che, ovviamente, a distanza di un anno, non arriva. Senza considerare che la nomina di una commissione, trucchetto antico quanto il mestiere più antico, è già in sé clamorosa se si considera che l’Asl dispone di un Ufficio Personale, con un alto dirigente (il dottor Avitabile) e un numero indefinito di funzionari profumatamente pagati per tenere sotto controllo la situazione. Invece si nomina la miliardesima, inutile commissione, composta nel nostro caso da tre persone, il dottor Salvatore De Maio, il signor Geppino Di Pietro e la dottoressa Maria Rosaria Pietropaolo.
Del resto, se la Regione Campania ha avuto l’ardire di approvare l’Atto Aziendale dell’Asl di Salerno -e non solo- nonostante fosse sprovvisto di pianta organica e di un piano per le compatibilità economiche (in pratica, non si sa quanto personale ci sia, quanto ne serve e come coprire spese o investimenti) ecco che tutto diventa possibile.
Il governatore De Luca è stato eletto -come abbiamo già detto in altre occasioni- al grido di “Cambiare tutto”, ora è anche commissario di governo per la sanità: volendo, nessuno potrà dirgli alcunché. Bene, cominci ad ordinare ai suoi sottoposti di via Nizza di verificare la posizione dei 340 “amministrativi per caso”, se abbiano fatto le visite di controllo obbligatorie ogni anno, etc. Faccia restituire i soldi, ove accertato l’inghippo, e se non è possibile se li faccia dare indietro dai dirigenti e funzionari che hanno avallato questa beffa. Non è così difficile, De Luca saprebbe benissimo come fare. Lo farà? Vedremo. Noi qui, di tanto in tanto, glielo ricorderemo.
Del resto, 300 è un numero che evoca eroismi e miti: ci sono stati i 300 della spigolatrice di Sapri e, molto prima, quelli delle Termopili. Ecco, a Salerno sono addirittura 40 in più: 2,1 per comune, praticamente un esercito.